L’Olanda mette l’Europa nelle urne

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AMSTERDAM. Tra meno di una settimana, il 12 Settembre, gli olandesi saranno chiamati alle urne per la seconda volta in due anni. I sondaggi assegnano per il momento la vittoria ai liberali del VVD, partito del primo ministro uscente Mark Rutte, mentre il Partito socialista (SP), vera rivelazione di questa tornata elettorale, ha perso un quarto dei consensi che gli venivano attribuiti solo due settimane fa. Nonostante l’elevata volatilità  delle intenzioni di voto, una cosa è però certa: queste elezioni saranno decise su welfare ed Europa.
Il primo, smantellato pezzo dopo pezzo negli ultimi venti anni, è stato come da copione la prima vittima della linea rigorista scelta da Rutte per contrastare il rallentamento dell’economia olandese. L’ultimo pacchetto di tagli proposti alla Camera bassa (circa 19 miliardi di euro) ha messo in crisi il già  fragile equilibrio della maggioranza di centrodestra e condotto alle elezioni anticipate. «Non vogliamo tagli per miliardi di euro e nello stesso tempo vedere altri miliardi che prendono la via di Bruxelles a favore del Fondo salvastati e di quei deboli dei greci», ha spiegato Geert Wilders, leader dell’ultra-destra, nel ritirare il suo appoggio esterno al governo. Una visione della crisi che sembra essere, con una certa varietà  di sfumature, la più diffusa tra gli olandesi, anche a causa del modo semplicistico in cui i media hanno generalmente dipinto i ripetuti tentativi di salvataggio: un ladrocinio perpetrato a danno degli onesti e produttivi olandesi per favorire gli irresponsabili spendaccioni del sud Europa.
Tra i fondatori dell’Europa unita, i Paesi Bassi già  nel 2005, insieme alla Francia, hanno rigettato con un referendum l’adozione della nuova Costituzione europea. La maggior parte dell’ostilità  si rivolge all’Europa politica, vista come un monstrum burocratico che minaccia la sovranità  olandese e consuma risorse. Le due ali dello spettro politico hanno cavalcato questi sentimenti, con sostanziali differenze: da una parte l’estrema destra vorrebbe l’uscita dalla moneta unica e dall’Unione Europea, dall’altra i socialisti intendono limitare l’ingerenza di Bruxelles nelle questioni nazionali e tagliare i trasferimenti alle istituzioni europee.
La proposta dell’SP è in pratica un ritorno al keynesismo su scala prettamente nazionale: i socialisti intendono aumentare la spesa in stimoli per l’economia e non hanno alcuna intenzione di tagliuzzare ulteriormente quel che resta del welfare state olandese per restare sotto il tetto del 3% di deficit fissato da Rutte in accordo con Bruxelles. «Over my dead body!», ha chiarito la scorsa settimana Emile Roemer, scatenando un coro di proteste e accuse di irresponsabilità  da parte degli altri partiti e dei giornali. Nessuna primavera rossa, quindi, ma un ritorno alla cara vecchia socialdemocrazia degli anni ’70, con una strizzatina d’occhio al tema dell’immigrazione e del rigore di bilancio per l’Europa mediterranea, alla quale comunque si concederebbe «più tempo» per raggiungere gli obiettivi di tagli ai bilanci.
«Bisogna essere realisti – spiega Alexander, consulente del gruppo parlamentare del SP per le questioni europee – nel nostro Paese il tema del rigore di bilancio non è messo in discussione da nessuno. Quello che noi possiamo realmente fare per i paesi del Sud Europa è di stimolare la nostra economia e grazie alla nostra domanda trainare la produzione in questi Paesi. Non c’è alcuno spazio politico, oggi, per una proposta più radicale». Il capogruppo SP al Parlamento europeo, Dennis de Jong, aveva già  precisato che «i nostri referenti politici nella sinistra europea sono i movimenti del Nord come la Linke tedesca, non certo Syriza o Rifondazione comunista». Un messaggio non esaltante per le sinistre di Italia, Grecia e Spagna, ma già  sufficiente a far perdere qualche ora di sonno ad Angela Merkel, che vede il suo asse pro-austerity scricchiolare proprio nel momento decisivo in cui si attende la pronuncia della Corte costituzionale tedesca sull’ammissibilità  del Meccanismo europeo di stabilità . Se nell’Olanda dell’ortodossia neoliberista dovesse nonostante tutto affermarsi un progetto politico che va oltre l’austerity, cercando una risposta sociale e popolare alla crisi, l’equilibrio in Europa potrebbe pendere per la prima volta dopo tre anni a favore di una piattaforma socialdemocratica, che rimetta al centro lavoro, ambiente e coesione sociale.


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