Lo scudo costerà  600 miliardi all’Eurotower ma l’Italia ne risparmierà  35 in tre anni

by Sergio Segio | 7 Settembre 2012 5:15

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VOLEVATE il “grande bazooka”? Eccolo. Draghi aveva promesso un mese fa un’arma in grado di costringere alla fuga chi specula al ribasso dei titoli pubblici europei e punta alla dissoluzione della moneta unica. Ieri l’ha svelata: acquisti potenzialmente illimitati dei titoli di paesi come Spagna e Italia, sulle cui difficoltà  l’euro rischia di frantumarsi. Quello che i mercati si aspettavano e avevano già  fatto capire di ritenere sufficiente a fermare la lunga crisi dell’Eurozona. C’è solo un problema. Per far funzionare il bazooka bisogna metterselo in spalla e premere il grilletto. Possono farlo solo il premier spagnolo Rajoy o quello italiano, Monti. Ma il bazooka è pesante: non è detto che ne abbiano voglia. Se i mercati se ne accorgono, ci aspettano settimane da mozzare il fiato.
RETE DI SICUREZZA
Al momento, quello che conta è una svolta storica: da ieri, per la prima volta, l’euro dispone di una rete di protezione, paragonabile a quella di cui sono dotati, normalmente, gli Stati. Ci fosse stata tre anni fa, la crisi greca non avrebbe mai devastato i mercati europei. Ora, infatti, la Bce è pronta ad intervenire, rastrellando tutti i titoli che è necessario comprare per sostenere i prezzi (e tenere, dunque, bassi i rendimenti) di Bot e Bonos, nonché, se opportuno, vendere per abbassare quelli dei Bund tedeschi. La parola chiave, in questa strategia, è “illimitati”: in linea di principio, e in partenza, Francoforte si dichiara decisa a spendere quanto c’è da spendere. Quanto, esattamente? In teoria, visto che l’intervento sarebbe concentrato sui titoli con scadenza, anche residua, inferiore a tre anni, la Bce potrebbe rastrellare fino a 600-800 miliardi di euro, il valore complessivo dei titoli a breve italiani e spagnoli in circolazione. Ma, naturalmente, non c’è bisogno che Francoforte li compri tutti. Secondo alcuni, anzi, basterà  l’annuncio per ottenere il risultato voluto, gratis. In ogni caso, gli analisti pensano sia, eventualmente, più che sufficiente a indirizzare i mercati una campagna di acquisti dell’ordine del 15-30 per cento dei titoli in circolazione: circa 100-200 miliardi di euro.
OBIETTIVO MINIMO
Per raggiungere quali obiettivi? Draghi ha volutamente evitato di quantificarli e ha anche accennato ad un ventaglio di parametri di riferimento. Tuttavia, se l’intervento della Bce avesse l’effetto di abbassare i rendimenti dei titoli italiani del 2 per cento (la quota dei tassi sui titoli italiani che, secondo l’Fmi e Bankitalia, non può essere spiegata dai dati puramente economici) il risparmio per il bilancio italiano sarebbe di più di 6 miliardi di euro nel primo anno, oltre 12 nel secondo, 16 nel terzo: totale, da qui al 2015, 35 miliardi di euro, l’equivalente di una maxistangata, che ci potremmo risparmiare.
Non sarebbe, però, un regalo. L’altro termine chiave, nelle parole, ieri, di Draghi è “condizionalità ”. Si sapeva già  che
Francoforte intende subordinare il suo aiuto al rispetto di determinate condizioni: i paesi che chiedono aiuto devono anche impegnarsi a riforme e misure di risanamento dei bilanci. Non si sapeva a che condizioni facesse riferimento. Ora si sa e, per molti, è stata un brutta sorpresa. Si è capito che “illimitati” è l’altra faccia di “condizionalità ”: ovvero che, probabilmente, in queste settimane, si è consumato uno scambio, nelle stanze della Bce, in cui gli interventi sui mercati sono stati compensati da condizioni più stringenti per ottenerli. Può anche essere soltanto un rigore di facciata, buono, soprattutto, per tenere a bada l’opinione pubblica tedesca, destinato a non tradursi in misure nuove ed incisive. Ha, però, colto di sorpresa molti, nei palazzi dei governi, anche se, forse hanno più ragione di preoccuparsi a Madrid che a Roma.
LE CONDIZIONI
Per come l’avevano messa i politici, nel summit europeo di fine giugno, l’intervento del Fondo salva-Stati, che deve aprire la strada a quello della Bce, era su-
bordinato al rispetto, da parte dei paesi che chiedono aiuto, delle raccomandazioni già  avanzate dalla Commissione Ue e degli impegni già  presi in nome del Patto di stabilità  e delle Procedure per gli squilibri macroeconomici. «Niente di più» avevano assicurato nella conferenza stampa notturna i funzionari Ue e Rompuy, il presidente del Consiglio europeo, si era limitato ad aggiungere, un po’ scherzosamente: «Be’, magari una o due cose in più, tanto per mantenere la pressione». Così l’avevano presentata, all’inizio di agosto, il ministro Grilli e, ancora in questi giorni, Monti ed Hollande. Ieri, invece, Draghi ha fatto esplicito riferimento alle procedure dell’Efsf. In pratica, i paesi che chiedono aiuto dovrebbero ricominciare da zero una trattativa sulle riforme e sottoporsi ad un monitoraggio ravvicinato della Troika Ue-Bce-Fmi: rapporti continui su spese e incassi pubblici, spending review, relazioni settimanali sulla situazione finanziaria, stress test sulle banche, rapporti mensili sul bilancio pubblico.
RAJOY ALLE STRETTE
In concreto, visto che Roma e Madrid molto hanno già  fatto e sono state più volte lodate, tutto questo potrebbe risolversi in una semplice passerella. Ma chiedere aiuto e aprire una trattativa significa avventurarsi in acque inesplorate. In particolare per la Spagna, che ha un bilancio in passivo e, finora, si è rifiutata di mettere mano ad una riforma delle pensioni. Rajoy potrebbe puntare i piedi. E i mercati potrebbero partire all’attacco, fiutando l’impossibilità  di intervenire della Bce. Paradossalmente, le cose vanno meglio per l’Italia. Non solo perché Roma ha il bilancio, al netto della recessione, in pareggio e le riforme del lavoro, delle pensioni, della spesa pubblica e del fisco su casa e rendite le ha già  fatte. Ma perché, probabilmente, a Monti e a due terzi dell’attuale maggioranza non dispiace troppo firmare un memorandum che obblighi al rispetto dei vincoli di bilancio anche un futuro governo, magari Berlusconi, dopo le elezioni 2013. Un modo per esorcizzare quello spauracchio del Cavaliere — che promette riforme e non le fa — molto agitato, in questi giorni, a Francoforte.

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