by Sergio Segio | 10 Settembre 2012 6:26
Qual è la radice della nuova ondata di euroscetticismo? Gli effetti della crisi economica? L’incomunicabilità della politica?
«Non ho dubbi che il problema numero uno si chiami disoccupazione. Lo sappiamo tutti: le percentuali di senza lavoro sono spaventose, specie tra i giovani, perché in alcuni casi arrivano fino a un incredibile 50% e specie in Spagna, Grecia, Portogallo e Italia. Le cifre, però, non dicono tutto. In Europa si sta vivendo in un clima di scoraggiamento, di depressione psicologica prima ancora che economica».
Depressione con manifestazioni piuttosto aggressive, visto che in Paesi come Olanda, Finlandia e Germania sono spuntati partiti politici che chiedono il voto riesumando luoghi comuni di quarta categoria: «i greci sono pigri», «gli spagnoli spendaccioni», «gli italiani inaffidabili» e così via.
«Sì ma i partiti di governo e le istituzioni comunitarie sarebbero nelle condizioni di riassorbire queste spinte. Ora il problema centrale è che l’Unione Europea deve essere in grado di preservare e, se è il caso, incentivare la mobilità dei lavoratori da un Paese all’altro. Negli Stati Uniti i cittadini si spostano senza ostacoli in cerca di un impiego. Nello stesso tempo voi europei dovreste abbandonare la strategia adottata quando è scoppiata la crisi del debito. Il caso della Grecia è esemplare. Non si aiuta un Paese gettandolo sul lastrico e nella disperazione. Che aiuto è?».
Conosce la risposta: gli investitori internazionali, e non solo la Germania, non sono più disposti a finanziare un debito abnorme e non rimborsabile.
«D’accordo, ma dobbiamo distinguere. Non è tutta l’Europa che sta danzando sulla crisi del debito pubblico, ma solo alcuni Paesi, tra i quali l’Italia. Penso che se vogliamo uscire da questa situazione non ci sia che l’arma fiscale, il fiscal gun. Voglio dire occorrono investimenti pubblici di tipo classico, cioè le infrastrutture, o più inediti, come l’innovazione. È chiaro che Grecia, Italia, Spagna e Portogallo devono seguire una politica di rigore. Ma non può essere solo di tagli, altrimenti il peso del debito continuerà a salire a fronte di una ricchezza in diminuzione. Bisogna trovare un punto di equilibrio diverso da quello attuale. Non contesto il rigore finanziario. Il problema è quanto deve essere ampio. Mi pare che il piano anti-spread di Mario Draghi (acquisto dei titoli di Stato dei Paesi in difficoltà , ndr) possa essere visto come un’inversione di tendenza. È quella la direzione giusta».
Servirebbero anche le riforme, no?
«Certo. Due su tutte: mercato del lavoro e pensioni. Sul piano europeo è necessario un coordinamento tra i diversi sistemi, che non devono essere per forza uguali. Poi, certo, alcuni Paesi avrebbero bisogno di correzioni incisive. Se facciamo l’esempio dell’Italia osservo che ci sono ancora spazi di miglioramento sulla previdenza. Mentre sul mercato del lavoro il governo Monti si è mosso nella giusta direzione e non lo dico perché sono un buon amico di Elsa Fornero».
Giuseppe Sarcina
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