by Sergio Segio | 26 Settembre 2012 7:00
ROMA — Piegano la bocca all’ingiù e rispondono tutti con uno scenografico «Mah», i senatori della Repubblica italiana. Quel direttore delle Poste interne di Palazzo Madama, due accoglienti uffici vicino all’ingresso principale, non lo aveva mai visto nessuno. Anche la foto, a scrutarla bene, non dice loro niente. «Io ho sempre trattato con una donna», dice Marco Stradiotto, del Pd. «Magari lui stava dietro. E poi, sono tra quelli che hanno fatto l’esame del capello, quando lo propose Giovanardi. Droga qui? Ma non vede? Hanno una certa età , sono così tranquilli». Con lui, Francesco Sanna: «Mi pare che non ci sia il mercato ideale. Mai viste nei bagni piste dimenticate. O forse dovremmo diffidare dei colleghi anziani troppo arzilli?». E Nicola La Torre, addirittura, «macché droga, qui vogliamo chiedere di mettere le sputacchiere».
Ad attraversare gli assopiti corridoi del Senato, sui soffici tappeti rossi nel torpore di un martedì pomeriggio, tutto verrebbe da pensare tranne che alla cocaina. Eppure, in mezzo all’incredulità dei più, c’è un senatore che — anonimo — rivela all’agenzia Dire: «Qui il dieci per cento di noi si droga». E c’è il leghista Roberto Calderoli che prende la parola in aula per invocare le perquisizioni: «Se il presidente del Senato vuole escludere qualunque tipo di coinvolgimento dell’istituzione che presiede in un fatto di questa gravità , dovrebbe disporre un ordine per consentire il pieno accesso agli operatori di polizia giudiziaria ». Che al Senato di norma non possono entrare, spiega Luigi Zanda, secondo cui Ranaldi «potrebbe essersi sentito protetto dall’ambiente».
Già , l’ambiente. Fuori dall’aula, davanti a un succo di frutta, Calderoli spiega: «Non credo che negli uffici del Senato possano trovare qualcosa che vada oltre l’uso personale, ma non so cosa facesse e chi fosse questo signore: bisogna guardare dove poteva custodire qualcosa». Le pare credibile, il dieci per cento di senatori che fa uso di cocaina? «Mi sembra poco!». Fuori i nomi, verrebbe da dire. Nessuno va al di là delle battute. Al limite, come Pancho Pardi, ricordano «quell’ex sottosegretario che la droga se la faceva portare perfino in ufficio. Però i senatori, supposto che ne facciano uso, non credo vengano ad acquistarla alla posta». Elio Lannutti ha portato ai colleghi i risultati tossicologici di quando fece il suo esame del capello, «Cattedra di tossicologia forense», si legge sull’intestazione: ha invitato tutti a fare l’antidoping. Proposta che, ufficialmente, fanno Raffaele Lauro del Pdl e Alberto Filippi di Coesione Nazionale: «Dobbiamo dimostrare trasparenza con i test antidroga».
Per ora, nessuno li prende sul serio. Anche se Lannutti è categorico: «Se c’è uno spacciatore ci devono essere i consumatori. Io ho passato una vita a difendere un altro tipo di consumatori, ma questi non sono difendibili». E lei? «Vengo da una cultura contadina, mai neanche uno spinello». Il presidente della Commissione Affari Costituzionali, Carlo Vizzini, fa notare: «Non siamo più giovanissimi, potrebbe venirci un attacco di cuore. Quelle sostanze sono dei vasocostrittori, ti costringono a bere per dilatare… non fa proprio per noi. Io poi sono talmente drogato di legge elettorale che non potrei assumere altre sostanze». «La politica è sangue e merda — il prodiano Silvio Sircana cita Rino Formica — recentemente, è cambiato il mix».
Di questo, hanno tutti paura. Del discredito, del sospetto. «Siamo circondati», «Piove sul bagnato », «Mala tempora currunt», sono le frasi che si rincorrono. La vicepresidente leghista Rosy Mauro vestita di nero non vuole fermarsi neanche a parlarne. Marco Follini chiede: «Come ci si difende dalle cose da cui non si è nemmeno sfiorati?». Poi però arriva Stefano Pedica, Idv: «Secondo i commessi quel direttore era stato indicato da un altro presidente del Senato». In passato, quindi. Voci. Sospetti. E Lucio d’Ubaldo, Pd, che a sera dice con una risata rassegnata: «Ma come non l’hanno mai visto? Davvero hanno detto tutti così? Ma se parlava con tutti!». Tutti? «Tutti. Lo conoscevamo, sa come si fa: “Buongiorno. Come stai?”. Era gioviale, certo non il solito romano con l’abbraccio e il bacino, veniva sempre in giacca e cravatta, distinto. Aperto però, e soprattutto, appassionato di politica. Voleva sempre sapere, chiedeva quel che succedeva». D’Ubaldo è convinto che non c’entri niente, che abbia fatto un errore, che qualcuno lo volesse incastrare. «In tanti anni uno qualche elemento doveva pur ricavarlo, e invece davvero, non avevo ragione di credere a una cosa del genere. E non credo possa essere concepibile che qui ci fosse un giro di spaccio». Nessuno lo ricorda, però, il direttore delle Poste: un viso troppo comune, un caso di amnesia collettiva? Ride e allarga le braccia. «Ma che non conosci la signora che sta qui alla cassa? Sono codardi. La verità è che sono codardi».
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