by Sergio Segio | 21 Settembre 2012 6:50
MARUN AL RAS (LIBANO). Il generale Paolo Serra è uscito con il volto disteso dall’incontro avuto con il capo dello stato Michel Suleiman, il primo ministro Najib Miqati e il presidente del Parlamento Nabih Berri. «Ho informato il presidente – ha detto ieri il comandante dell’Unifil, la forza di interposizione dell’Onu nel sud del Libano alla frontiera con Israele – che (il nostro contingente) in stretto coordinamento con le forze armate libanesi, ha rafforzato le operazioni per mantenere la sicurezza e la stabilità nella nostra area di operazioni in seguito al ridispiegamento dell’esercito libanese a nord del fiume Litani». Forte del rinnovo per un altro anno del mandato dell’Unifil da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, Serra si è quindi detto soddisfatto per «la calma e la stabilità che prevale» nel sud del Libano, «alla luce dell’ambiente regionale instabile».
Prevale la calma nel sud, afferma il comandante dell’Unifil. E in effetti girando su e giù per le colline a sud del fiume Litani fino al confine con Israele, non si nota nulla di significativo che confermi sul terreno la tensione che sale tra Israele e Libano, tra il governo Netanyahu e l’Iran, stretto alleato del movimento sciita libanese Hezbollah. I pochi veicoli militari che circolano sono quelli dell’esercito libanese, di rado si incontrano i blindati dipinti di bianco dei soldati dell’Unifil. Di Hezbollah l’unica traccia sono le bandiere gialle e i poster enormi con le immagini dei leader religiosi sciiti e dei «martiri» della lotta contro Israele, disseminati lungo strade piccole e grandi. La cosa più visibile è la ricostruzione di città e villaggi completata in tempi record. Bint Jbeil era un cumulo di macerie al termine dell’offensiva israeliana nel Libano nel sud nell’estate del 2006. Oggi è una cittadina tranquilla e pulita con tanti piccoli negozi. Lo stesso vale per tanti altri centri abitati della zona e per i quartieri sciiti a sud di Beirut. A finanziare gran parte della ricostruzione, attraverso «Jihad al Binaa», la compagnia di costruzioni pubbliche di proprietà di Hezbollah, è stato l’Iran. È noto a tutti. Per tanti libanesi è uno scandalo l’ingerenza di Tehran ma a Beirut sanno bene che il sistema confessionale che condiziona la politica e la società del Paese dei cedri non avrebbe permesso di destinare tante centinaia di milioni di dollari alla ricostruzione delle zone abitate da sciiti. D’altronde l’ex premier Rafik Hariri, assassinato nel 2005, finanziò buona parte della rinascita del centro di Beirut, dopo la guerra civile, con i fondi generosi messi a disposizione dal suo sponsor politico, l’Arabia saudita.
L’altura che sovrasta Marun al Ras offre una vista spettacolare. In basso c’è Israele, sulla sinistra ci sono le Fattorie di Sheba e il Golan occupato. Si incrociano poco lontano i territori di tre paesi che potrebbero rimpiombare nella guerra in ogni momento. Qui più che sul confine tra Libano e Israele sembra di essere sulla frontiera tra Iran e lo Stato ebraico. Hezbollah ha costruito, sempre con fondi iraniani, una sorta di ampio resort turistico per le popolazioni del posto. Fresco d’estate, alberato, al sito non manca nulla. C’è tutto: dai ristoranti ai parchi giochi per bambini. Bandiere e simboli della Repubblica islamica dell’Iran sono stati issati ovunque, a cominciare dalla riproduzione su scala minore della moschea della Roccia di Gerusalemme, con tanto di cupola dorata. Dalle terrazze attrezzate per le grigliate, le famiglie possono guardare, a poche centinaia di metri di distanza, il territorio israeliano con kibbutz e villaggi vicini alla linea blu che segna il confine. Accanto al ristorante si ergono alcune grandi torri di osservazione collegate da passerelle di legno. Poco più in basso attrezzi e strumenti per l’addestramento fisico dei militare, sui quali domina una scultura con la figura di un essere umano indica verso sud, a voler dire che stavolta non ci sarà solo resistenza ad un’offensiva israeliana, ma anche un’avanzata verso il territorio nemico. Voci che circolano in Libano, rilanciate dai media israeliani, dicono che Hezbollah, in caso di conflitto, cercherà di occupare con i suoi combattenti i centri abitati della Galilea a ridosso della frontiera.
Chissà se è vero. Certo Nabil Kaouk, vice presidente del consiglio esecutivo di Hezbollah e comandante «politico» delle forze guerrigliere nel Libano del sud, è perentorio nel rispondere ad una nostra domanda sulle possibilità di un attacco israeliano alle centrali nucleari iraniane e ad un allargarsi di quel conflitto anche in Libano. «Se i sionisti (gli israeliani) e gli americani potessero scatenare la guerra senza subirne conseguenze lo avrebbero già fatto – ci dice Kaouk – invece sanno che la nostra reazione sarà terribile. Siamo in grado di colpire in modo devastante (con razzi e missili, ndr) il territorio nemico e la nostra capacità di difesa è in costante progresso. Se sino ad oggi non hanno avviato la guerra lo si deve solo al fatto che sanno che pagheranno un conto molto alto». Hezbollah ha investito molto negli ultimi anni per migliorare le capacità di combattimento dei suoi guerriglieri e il segretario generale del movimento sciita, Hassan Nasrallah, negli ultimi tempi ha ribadito più volte che la sua organizzazione, di fronte ad un attacco israeliano, non esiterà a colpire con i suoi missili anche Tel Aviv, risparmiata nel 2006.
L’arma più potente di Hezbollah comunque rimane la conoscenza metro per metro del territorio sud-libanese e la rete di tunnel sotterranei che vi ha costruito. Nella località di Mlita, dove negli anni scorsi, è stato aperto il «Museo della Resistenza» oltre ai resti di mezzi corazzati e di pezzi di artiglieria israeliani distrutti o catturati da Hezbollah, un tour guidato consente di visitare una di queste gallerie sotterranee. Un labirinto di stretti cunicoli e di piccoli locali ben curati che possono accogliere, se necessario anche per mesi, i guerriglieri. Da questi tunnel nel 2006 uscivano i combattenti sciiti che provocarono perdite pesanti di uomini e mezzi all’esercito israeliano.
Da quei giorni dell’estate nel 2006, si attende in Libano del sud un secondo e decisivo round tra Israele e Hezbollah. E sono in tanti a credere che potrebbe cominciare come pretesto o conseguenza di un attacco aereo israeliano alle centrali atomiche iraniane. Nabil Kaouk non ha risposto alla nostra domanda su cosa farà Hezbollah di fronte ad un raid di Israele contro l’Iran. Tutti vorrebbero una risposta a questo interrogativo. Dall’altra parte del confine intanto continuano a prepararsi alla guerra. Due giorni fa, con una esercitazione a sorpresa – che ha coinvolto pressoché tutte le unità di artiglieria – Israele ha simulato un conflitto di vaste dimensioni. Nelle ore precedenti unità dislocate nella Cisgiordania occupata e reggimenti di riservisti hanno avuto ordine di raggiungere velocemente il Golan siriano (occupato nel 1967). Scene che hanno richiamato quelle della guerra del Kippur del 1973. Altre importanti esercitazioni militari si sono svolte nelle ultime settimane sempre sul Golan e in Galilea. E se si tiene conto che il conflitto tra Israele e Iran non potrà svolgersi sul terreno – i due paesi non sono confinanti – e che Israele non pare avere alcuna intenzione di coinvolgersi direttamente nella guerra civile siriana, le esercitazioni dell’altro giorno non possono che riguardare lo scenario sudlibanese. «Abbiamo testato le capacità di combattimento delle nostre forze armate», ha spiegato il capo di stato maggiore Benny Gantz. Da una parte e dall’altra del confine nessuno parla ma non servono tante parole per capire cosa si prepara lungo le linee tra Israele, Libano e Siria.
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