Le ultime lacrime di Milano per il cardinale Martini il Papa: un pastore generoso

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MILANO — «Si muore soli!». Sono parole sue e forse bisognerebbe riconoscere — in fondo alla giornata del lungo addio — che il senso profondo delle solenni esequie di Carlo Maria Martini sta tutto qui, in un passaggio della lettera pastorale “Sto alla porta”, scritta dal cardinale e letta alle 15.40, in preparazione alla celebrazione eucaristica. «Si muore soli!». Anche se il Duomo e la sua piazza traboccano di gente (6mila dentro la cattedrale, 15mila fuori). Anche se tra sabato e domenica sono venuti in 200mila. Anche se per l’ultimo abbraccio al «pastore generoso», come lo chiama il Papa nel suo messaggio, sono presenti le più alte cariche politiche (in primis il capo del governo Mario Monti, assieme a quattro ministri), istituzionali
(sindaci e governatori) e religiose (l’arcivescovo celebrante Angelo Scola in mezzo a una moltitudine di vescovi, cardinali e sacerdoti). Di tutte le religioni, perché Martini — che ha smesso di vivere venerdì scorso, a 85 anni, logorato dal Parkinson — «ha saputo dialogare con tutti», ricorda ancora Benedetto XVI. Che l’ex arcivescovo emerito di Milano, al di là  della folla che lo ha salutato per l’ultima volta, sia morto «un po’ solo» lo ammette don Antonio Mazzi, a esequie terminate. «Ho sentito discorsi accademici, abbiamo girato sui cornicioni della cattedrale… La verità  è che Martini voleva che la chiesa diventasse povera e aperta a tutti, senza barriere né pregiudizi. Isolato? Diciamo che piaceva più all’estero che in Italia. Era di larghe idee, introverso, piemontese… «Nell’omelia pronunciata dall’arcivescovo di Milano, Scola, in verità  la “personalità ” di Martini viene ricordata proprio attraverso il suo tratto «inconfondibile». L’autonomia di pensiero. «La morte del cardinale è stata personale perché destinata alla sua personale, inconfondibile risurrezione, al suo personale modo di stare per sempre con il Signore e in lui con tutti noi». Un concetto ribadito più tardi, quando Scola spiega che le «diversità  di temperamento e di sensibilità  nella Chiesa, come le diverse letture delle urgenze del tempo, esprimono la legge della comunione: la pluriformità  dell’unità ».
La celebrazione inizia alle 16. Le tre navate del Duomo sono gremite, in piazza ventimila persone seguono i funerali su due maxischermi. L’ultimo a entrare nella cattedrale è Monti. Prende posto in prima fila accanto alla moglie. Accanto a lui ci sono i ministri Giarda, Riccardi, Balduzzi, Ornaghi, il presidente della Lombardia Formigoni e il sindaco di Milano Giuliano Pisapia. Presenti anche Romano Prodi, il leader Udc Pier Ferdinando Casini, la vicepresidente della Camera Rosy Bindi, il governatore pugliese Nichi Vendola. Nel primo banco a destra ci sono i familiari di Martini: la sorella Maris, il capo coperto dal velo nero, e i nipoti Giovanni e Giulia. Dopo i canti e le preghiere introduttive, inizia l’omelia di Scola. «La vita del cardinale — dice dopo essere sceso dall’altare per aspergere la bara con l’acqua santa e incenso — è specchio trasparente di perseveranza, anche nella prova della malattia e della morte». Che uomo è stato Martini? Lo racconta Benedetto XVI, nel messaggio affidato al cardinale Angelo Comastri. «Un uomo di Dio… spinto da uno spirito di carità  pastorale profonda… attento a tutte le situazioni, specialmente quelle più difficili, vicino, con amore, a chi era nello smarrimento, nella povertà , nella sofferenza». Uno — ricorda Scola — che ha «sempre cercato di abbracciare tutto l’uomo e tutti gli uomini ». Il segno lasciato dal “cardinale del dialogo” è anche la frase che ha scelto di porre sulla sua tomba (tratta dal Salmo 118): «Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino». Sulla bara — poi tumulata in Duomo, ai piedi dell’altare di San Carlo Borromeo — c’è ancora l’Evangelario aperto sulla pagina pasquale della Resurrezione. Prende la parola un commosso Dionigi Tettamanzi, successore di Martini alla guida della chiesa di Milano. «Noi ti abbiamo amato». È uno dei momenti più emozionanti. Parte il primo, lungo, in pratica unico applauso della cerimonia (uno strappo al silenzio raccomandato da Scola). La messa si conclude con il Salve Regina. Fuori, il popolo di Martini è in fila per la comunione.


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