Le tangenti e gli investimenti stranieri come una «Tassa» del 20 per cento

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ROMA — L’Italia non schioda dalla bassa classifica. Secondo il rapporto «Doing Business 2012» siamo ancora al 158° posto, su 183 economie esaminate, per quanto riguarda il tempo necessario alla giustizia civile per risolvere una controversia commerciale tra due imprese: in Italia, per concludere un processo e ottenere una sentenza definitiva, sono necessari 1.210 giorni, a fronte dei 331 impiegati in Francia e i 394 in Germania. In linea generale, «la durata media dei procedimenti in primo e secondo grado supera di due o tre volte quella degli altri Paesi dell’Unione Europea». Grecia compresa.

È questo il quadro di riferimento da cui parte il filo del ragionamento del ministro Paola Severino su «Giustizia e crescita economica». Ma prima di affondare il bisturi nel corpaccione malato del processo civile, l’analisi del Guardasigilli affronta l’emergenza corruzione che tanti investitori stranieri allontana dall’Italia e tante difficoltà  provoca alla libera concorrenza tra le imprese. Nella percezione della corruzione (Trasparency international), infatti, siamo ultimi in Europa. Davanti solo alla Grecia.
E tanto per far comprendere le dimensioni del fenomeno, il ministro cita tre dati impressionanti: con una lotta efficace alla corruzione, il reddito potrebbe essere superiore del 2-4% (Banca mondiale); nelle regioni in cui la corruzione è più bassa, il settore delle imprese cresce fino al 3% annuo in più; la corruzione in Italia corrisponde a una «tassa» del 20% sugli investimenti stranieri. Ma c’è anche un «effetto domino» della corruzione che inquina tutti i pozzi dell’economia e del commercio: «La corruzione infatti altera il flusso del denaro in entrata (reato presupposto per creare i fondi) ed in uscita (il “nero” porta a spesa “illecita”) generando una sorta di effetto domino».
Va da sé, insiste il ministro, che la nuova legge anticorruzione non è più rinviabile: per imporre una efficace disciplina di trasparenza nella Pubblica amministrazione e per rendere «effettive e credibili» le sanzioni comprese quelle nuove, previste dalla legge ora all’esame del Senato, contro la corruzione tra privati e contro il traffico di influenze illecite (il lobbismo fuori dalle regole).
Eppure, lo snodo di collegamento tra giustizia ed economia passa sempre e comunque dalla manutenzione ordinaria e straordinaria del processo civile. Perché una «giustizia affidabile promuove la concorrenza, favorisce lo sviluppo dei sistemi finanziari, riduce il costo del recupero dei crediti, fornisce maggiore tutela ai prestatori di fondi». Per comprendere quanto conti un processo civile che funziona, il ministro ricorda che nelle province nelle quali il processo civile è più lento, le banche chiudono con più vigore anche i rubinetti del credito alle imprese: «A parità  di altre condizioni, un aumento del carico di 10 casi per 1000 abitanti genera una riduzione del rapporto tra prestiti e Pil del 1,5%».
In altre parole, le statistiche dimostrano che «nei distretti di Corte d’Appello più “inefficienti” le famiglie sono penalizzate sul mercato del credito». Ma una amministrazione pigra e inefficiente del processo civile «influenza anche la quota di ricchezza che le famiglie detengono sotto forma “statica” (contante e depositi) rispetto a quella detenuta in strumenti finanziari “dinamici” (azioni e obbligazioni)». Inoltre, una giustizia civile lenta «incrementa il ricorso delle imprese al debito commerciale (dilazioni di pagamento)» ed è associata anche a una minore natalità  delle imprese e soprattutto a una loro minore dimensione media: «Una riduzione della durata delle procedure civili del 50% accrescerebbe del 20% le dimensioni medie delle imprese manifatturiere».
Tirando il filo di questa analisi, il ministro della Giustizia Severino propone la seguente diagnosi: i tribunali civili sono intasati per eccesso di litigiosità  (domanda di giustizia) e per un’organizzazione inefficiente degli uffici (offerta di giustizia). Sul primo fronte, quello della eccessiva domanda, le priorità  sono la riforma degli ordinamenti professionali (quella dell’avvocatura è in sede legislativa alla Camera) e il filtro per un accesso più regolato alla giustizia (già  realizzato per quanto riguarda l’appello nel civile).
Sul secondo fronte, quello dell’offerta, in agenda ci sono la riorganizzazione degli uffici giudiziari (da attuare nei prossimi 12 mesi in base alla delega varata dal governo Berlusconi), l’informatizzazione degli uffici giudiziari (che procede assai a rilento), la specializzazione dei giudici (varati i tribunali delle imprese mentre manca ancora quello della famiglia). Rimane, infine, lo smaltimento dell’arretrato che però, in termini di possibilità  di azzeramento, assomiglia tanto al debito pubblico accumulato dallo Stato.


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