Le Regioni Bancomat: soldi senza ricevute
Non esiste una legge nazionale. Anche sulla disciplina delle spese dei gruppi consiliari vale il principio dell’autonomia: ogni Regione fa a sé. Ma c’è un filo rosso che unisce molti dei regolamenti adottati dai consigli: partiti e consiglieri, non sono tenuti a giustificare le spese sostenute con scontrini o fatture, nemmeno a indicarne le finalità . Nel migliore dei casi basta un’autocertificazione. E anche quando gli obblighi di legge ci sono mancano i controlli. Il governo Monti sta valutando un intervento per «frenare» le spese delle Regioni: un «segnale forte» che parta da riduzione dei costi e controllo della spesa. Già nel consiglio dei ministri di venerdì verranno decisi i primi provvedimenti sui costi standard del federalismo fiscale. E anche il governatore dell’Emilia Romagna Vasco Errani porterà oggi nella Conferenza delle Regioni quella che definisce un’urgenza: «Riduzione dei costi, trasparenza, terzietà dei controlli».
La mappa dello spreco
Dal Veneto alla Campania, dal Piemonte alla Sicilia, dal Trentino Alto Adige, che fa per due, alla Sardegna: su dodici consigli presi in esame dal Corriere otto non dispongono di un regolamento che obbliga i politici ad allegare scontrini e fatture. C’è il Lazio, certo, dove i guai nascono proprio dal fatto che non esiste una regolamentazione dei fondi erogati ai partiti. La legge che stabilisce i rimborsi è la 6/73: prevede per ciascun gruppo un contributo mensile di 1.500 euro, più una quota variabile di 750 euro per consigliere. Ogni gruppo ha poi diritto a un contributo mensile per spese di aggiornamento, collaboratori e attività politica che viene stabilito dall’ufficio di presidenza del consiglio regionale. Organo che, sotto l’amministrazione Polverini con presidente del Consiglio Mario Abbruzzese, ha aumentato da 1 a 13,9 milioni i fondi ai gruppi. Il sistema? I soldi vengono erogati ai gruppi e gestiti dal capogruppo-tesoriere. Il consigliere a sua volta porta il rimborso, tramite fatture e il capogruppo/tesoriere vista le spese e paga. Non esiste un controllo «terzo», tutto resta all’interno del gruppo. L’unico tipo di «controllo» è la presentazione del bilancio al Co.re.co. (Comitato regionale di controllo) che però, per ammissione del suo presidente, ha solo un potere di verifica contabile.
Le «regine»
C’è poi la Sicilia: 12 milioni e 600 mila di fondi destinati ai partiti e nessun obbligo di rendicontazione. Nel dettaglio: 3.500 euro per ogni deputato, più fondi vari per chi lavora nel gruppo. Un esercito di 70 persone che percepiscono dai 1.500 (il dipendente) ai 4.100 euro (il portaborse). In quest’ultimo caso la somma è girata direttamente al consigliere regionale che alla fine, capita, versa poi molto meno al suo collaboratore. Anche qui il gruppo svolge il doppio ruolo di controllore e controllato. La Sardegna le va a ruota con i suoi otto gruppi che costano 5 milioni e 152 mila euro l’anno (spesa complessiva oltre i 20 milioni e 200 mila euro). L’obbligo di presentare pezze giustificative è arginato scegliendo la strada dei rimborsi forfetari: ogni consigliere, oltre all’indennità netta di 2.720 euro al mese, percepisce una diaria che va da 3.202 a 4.163 euro, un rimborso per spese di segreteria e rappresentanza di 2.346 euro per 12 mensilità e un contributo per spese di documentazione e strumentazioni tecnologiche di 9 milioni e 263 mila euro l’anno. Il contributo, si sottolinea, è stato comunque ridotto del 20%.
In Calabria l’articolo 7 della legge 13 del 2002 prevede che le spese effettuate da ciascun capogruppo non siano rendicontate. Ma c’è già una riforma pronta all’insegna della maggiore trasparenza. La legge regionale della Campania che porta la data del 1972 ed è stata modificata nel 1996 dice: «Per le spese di funzionamento dei gruppi consiliari viene liquidato un contributo fisso mensile». Segue una cifra aggiornata nel tempo. Punto e basta. La Regione fa da «bancomat» e non esige alcun rendiconto nè impone come quei soldi debbano essere spesi. Oggi, come ha scritto il Corriere del Mezzogiorno, ai 60 consiglieri vengono distribuiti fondi per oltre un milione. I consiglieri, «ovvio» dicono, conservano scontrini e fatture, ma non esiste un ufficio ragioneria a cui affidarli e non c’è l’obbligo di farlo. Almeno così fino a maggio.
Non solo al Sud
Ma non sono solo le Regioni del Sud a non avere regolamenti rigidi. I sessanta consiglieri veneti percepiscono «fuori busta» 2.100 euro netti al mese per rimborsi esentasse che non richiedono l’obbligo di presentare giustificativi. La giustificazione è stata che quei soldi servono a coprire i costi della benzina. Fatti due calcoli, però, è come se ogni consigliere percorresse qualcosa come 16 mila chilometri al mese. Il Piemonte poi: 15 gruppi, 60 consiglieri, 7,5 milioni di euro e autocertificazione libera per ottenere il gettone di presenza. Da qui anche l’annuncio di affidare a terzi la certificazione dei bilanci da pubblicare poi online. Le Province autonome di Trento e Bolzano lo fanno già . Ma le spese sostenute dai 35 più 35 consiglieri vengono giustificate attraverso una dichiarazione di ogni capogruppo alla presidenza del Consiglio insieme a una nota riepilogativa.
Le virtuose
Toscana (50 consiglieri e 705 mila euro di spese), Liguria (40 consiglieri e 2 milioni e 900 mila euro), Emilia Romagna (50 consiglieri e 2 milioni e 332 mila euro per sole spese di funzionamento). Ci sono anche Regioni che obbligano per legge a dimostrare con scontrini e fatture le spese sostenute. Ma è poi la Presidenza del Consiglio a fare i controlli. Così è anche in Lombardia. Al Pirellone, otto gruppi consiliari per una torta da 10 milioni, lo scontrino è obbligatorio. E la delibera dell’ufficio di presidenza prevede che sia il presidente dei gruppi consiliari il «responsabile della regolarità della documentazione prodotta». Gli scontrini si allegano ai bilanci, ma l’effettiva verifica della regolarità formale dei rendiconti è affidata all’ufficio di presidenza del consiglio (quello che nella sua versione originaria contava 4 indagati sui 5). L’organismo può chiedere chiarimenti ai presidenti dei gruppi, nonché l’esibizione della documentazione relativa alle spese. «In sette anni — dice però Stefano Zamponi dell’Italia dei Valori — non mi risulta che sia mai successo». Lo scontrino insomma c’è, ma i giustificativi alle spese sostenute sono un optional. La discrezionalità del capogruppo è pressoché totale.
Alessandra Mangiarotti
Andrea Senesi
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