LE NUOVE OLIGARCHIE

by Sergio Segio | 25 Settembre 2012 6:32

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«È qui che voglio stare», sussurra tra le righe delle ultime pagine uno dei personaggi de La strada di casa, il nuovo libro di George Pelecanos che esce oggi in Italia per Piemme dopo aver fatto appassionare e commuovere i lettori americani. Barack Obama in testa (che l’ha divorato durante una vacanza estiva). Ma prima di arrivare a questa certezza inzuppata di cose buone, le parole vanno parecchio lontano dall’ottimismo, imprigionate dentro una gabbia cupa dalla quale sembra impossibile fuggire.
Parole dure che servono per raccontare l’America di oggi, le difficoltà  «che ha incontrato sin da subito la speranza del presidente nero», costretto a muoversi in una Washington dai contrasti sempre più marcati tra i ricchi e quelli che annaspano ai confini della società , con la lotta dei deboli per l’emancipazione che non solo non è ancora finita ma è più incerta che mai.
Un vento cattivo fa fare il suo giro strano alla storia, dove i sogni sono ancora difficili da far volare liberi. Come racconta dalla sua casa di Washington lo scrittore, che entra subito nel vivo. Preferendo la politica alla letteratura, che poi, a pensarci bene, non sono così lontane: «La situazione va peggiorando giorno dopo giorno. Il divario tra le classi sociali si sta allargando. La decisione recente della Corte Suprema sul Citizens United, che permette alle società  più grandi e ai miliardari di contribuire alle campagne elettorali e di sostenere i politici senza limiti, costituisce un altro pesantissimo passo indietro: in questo modo, l’America rischia di trasformarsi da una democrazia ad un’oligarchia. E il candidato repubblicano alla Casa Bianca Mitt Romney propone di ridurre le tasse ai più facoltosi, promettendo che ci saranno ricadute favorevoli per tutti, come la creazione di più posti di lavoro. Una clamorosa bugia: storicamente, questo non è mai accaduto, fa solo diventare i ricchi ancora più ricchi, ai danni della classe media. È una visione classista in senso assoluto, come dimostrano anche le ultime sue uscite ».
E poi c’è la questione razziale, che Pelecanos usa anche questa volta come palcoscenico su cui far muovere i suoi personaggi: «Purtroppo il discorso è tristemente semplice: la nostra America nuova e post- razziale è soltanto un mito. Un falso mito. Basta guardare tutte le persone che odiano Obama, e che dicono calunnie contro di lui, solo perché è un uomo nero che ha osato diventare presidente».
Semplice da dire, ma difficile (se non impossibile) da contrastare. Difficile (se non impossibile) trovare dentro questo muro compatto una breccia dove far passare la forza silenziosa, che porta al cambiamento. Ma George Pelecanos ha una sua idea ben precisa su come si costruisce un futuro migliore, o almeno da dove partire per dare un senso a una società  più giusta. Ne La strada di casa, come già  nel suo precedente Il sognatore, ma con maggior potenza narrativa e con una convinzione da sfiorare il perfetto realismo, mette al centro della storia la grande forza silenziosa della redenzione, la certezza, quasi assoluta, che per tutti, proprio per tutti, una seconda possibilità  c’è sempre. Ovvero l’essenza stessa del sogno americano che nel suo realizzarsi porta il romanzo ad avere
il ritmo magico di una favola moderna: «Sì, penso che tutti possano avere una chance per migliorare la propria vita, bisogna solo capire il momento giusto e dare il massimo per sfruttarlo. Credo che il lavoro possa essere una delle leve principali per un cambiamento positivo. Ho trovato la mia salvezza a 18 anni quando dopo un infarto di mio padre ho dovuto iniziare a lavorare nella sua tavola calda. Portavo capelli lunghi, jeans stracciati e non c’erano molte aspettative nei miei confronti: invece mi sono impegnato a fondo e da allora lui è stato molto fiero di me».
La strada di casa è dunque la strada di un’intera nazione e porta dentro il cuore della famiglia: rifugio finale da cui rinascere.
Pelecanos parte dal rapporto padre/figlio per costruire la sua trama, dentro gli spigoli dei rapporti familiari più complessi, resi ancora più incerti dalla grande crisi economica, che mina tutti i valori. Parte da qui e pagina dopo pagina regala caratteri forti, tratti decisi ai suoi protagonisti («Ai quali forse do troppa libertà »), che si fronteggiano in un doloroso processo di conoscenza e crescita: «La famiglia è importante, gioca un ruolo decisivo nei destini delle persone. Io stesso vorrei sapere la formula vincente di come si diventa un buon padre, ma non esiste. Certamente esserlo non è stato tutto rose e fiori per me, ho avuto come tutti momenti splendidi seguiti da delusioni forti con i miei figli. Ma stiamo tutti cambiando adesso, siamo cambiati insieme. Loro stanno uscendo dall’adolescenza e diventando più maturi si fanno più scrupoli, sono più prudenti. E io sono migliorato insieme a loro. È così che funziona».
Il nocciolo duro delle relazioni umane che muove tutto. L’amore che si mescola all’incomprensione che sfiora l’odio tra padre e figlio, ma non solo: la rabbia, la voglia di vendetta che si batte con la convinzione che il perdono sarebbe la cosa migliore. L’eterna lotta, banalmente ma non troppo, tra il bene e il male: «Scrivo libri che hanno come motore centrale gli uomini. Mi interessano le passioni: l’amore, l’amicizia, l’infedeltà , la nostra natura violenta e la lotta per controllarla. Provo a scrivere in modo onesto quello che provo e quello che vedo, senza aggiungere troppi aggettivi o mie interpretazioni. Preferisco presentare il mondo così com’è piuttosto che come il lettore vorrebbe che fosse».
E questo lo porta a usare un linguaggio originale e innovativo dove la sua abilità  di sceneggiatore tv (è l’altra sua celebrata attività ) si fonde con il desiderio di non fermarsi alla prima impressione, alla prima scelta. Come un telefilm a quattro dimensioni, dove la quarta è l’anima. Una miscela che fa dimenticare al lettore (e in parte anche ai critici) che Pelecanos è in realtà  un protagonista della scena noir. Confine che con lui risulta essere quanto mai artificiale, rarefatto: «Sono molto orgoglioso di essere considerato un giallista. Anche se ormai la definizione del noir è stata allargata fino a perdere il suo significato. Secondo me il dibattito sui generi della letteratura interessa solo agli accademici e non ai lettori. Il mio obiettivo è scrivere buoni libri. E frequentare mondi diversi come quello televisivo e quello del cinema mi aiuta e mi fornisce sempre nuove leve di ispirazione. Penso all’adrenalina che mi provoca arrivare su un set cinematografico e lavorare con artisti dotati, creativi, che stanno cercando di costruire qualcosa insieme. Dopo vent’anni tutto ciò mi emoziona ancora ed è questa passione che spero di trasmettere ai lettori».
Obiettivo centrato, con il finale che ti riscalda il cuore e regala una sensazione strana. Come di felicità . Una speranza, la stessa che Pelecanos immagina ancora, nonostante tutto, per la sua America: «Nessuno è completamente contento di questi quattro anni, così pieni di difficoltà  e disillusioni. Ma io mi fido ancora del mio presidente e ho delle grandi speranze per il suo secondo mandato, sì per il secondo mandato: Obama è l’uomo che fa per noi». Che i libri poi servono a questo: a non far morire i sogni.

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