by Sergio Segio | 11 Settembre 2012 8:08
Abbiamo preso l’abitudine di chiamare populisti un insieme di attori e formazioni politiche che innalzano le bandiere del popolo: del popolo sovrano e dell’identità del popolo. Il ritratto di famiglia include il padano Bossi, il francese Le Pen, lo svizzero Blocher e lo scomparso leader del liberali austriaci Georg Haider e molti altri. Com’è noto, il popolo da costoro evocato è etnicamente e culturalmente puro. Mentre la sovranità che essi concedono al popolo non è che delega plebiscitaria.
Il populismo è la versione postmoderna dell’estremismo di destra, che ha imparato a utilizzare le procedure elettorali. Il popolo designa il leader, che lo rappresenta, lo guida, ne tutela l’identità , minacciata dagli immigrati, e lo protegge dagli altri suoi nemici: le istituzioni della democrazia rappresentativa, i partiti, i sindacati, lo Stato, cui si sono aggiunte da tempo le tecnocrazie di Bruxelles, colpevoli fra l’altro di aver incoraggiato l’immigrazione, dall’Europa orientale o dal Sud del mondo.
I populisti sono dunque euroscettici e, anzi, euro-ostili. Sognano il ritorno delle nazioni e perfino la loro moltiplicazione. Dunque niente hanno in comune con la critica non dell’Europa, bensì delle politiche europee e delle modalità di governo dell’Unione, condivisa da alcune formazioni della sinistra radicale o, forse meglio, popolare e da movimenti alla Grillo. Con qualche diversità di accenti, l’Unione, per questi ultimi, è un super Stato retto da regole assai poco democratiche, che concede un ruolo ristrettissimo ai cittadini, così come all’europarlamento, ai partiti e ai sindacati. Quanto alle politiche, l’Unione sta spietatamente smantellando il cosiddetto “modello sociale europeo”, ovvero lo Stato sociale, senza far niente per proteggere il sistema industriale e l’occupazione.
Che queste parti politiche, che hanno a cuore gli interessi del mondo del lavoro e del cittadino comune, nutrano riserve nei riguardi dell’Europa attuale, asservita a banchieri e imprenditori, è ovvio. Né è strano che, in tali condizioni, nutrano qualche nostalgia per gli Stati nazionali. Ciò non significa che siano irrimediabilmente ostili all’Europa unita. Auspicano un’Europa diversa. Chiamarli populisti e accomunarli all’estrema destra euroscettica è solo un modo un po’ volgare per squalificarne le ragioni.
Ma i sentimenti critici verso l’Europa non si fermano qui. Da ultimo è apparsa un’altra forma di euroscetticismo, lungi anch’essa dal populismo. È l’euroscetticismo crescente nei paesi settentrionali virtuosi, che ce l’hanno con i paesi meridionali dissipatori. Tali euroscettici dimenticano che in altri tempi i loro governi tolleravano, e perfino incoraggiavano, le dissipazioni meridionali, ma ci danno comunque dentro. A dispetto delle infinite e stucchevoli ciance sull’identità europea, è un pezzo d’Europa che vuol sottometterne un altro.
Mettere nello stesso mazzo cose tanto diverse è una mossa politica come un’altra. Ma è curioso che a farlo sia un politico meno vincolato a esigenze di consenso elettorale come Monti, da cui ci aspetteremmo riflessioni più sottili.
Di cosa si lamenta il presidente del consiglio? Prima il mondo del lavoro è stato pesantemente maltrattato dal governo Berlusconi. Poi è arrivato lui, che l’ha maltrattato non meno energicamente, stavolta in nome dell’Europa. Che i sentimenti critici verso l’Europa crescano è conseguenza, e nient’altro, delle politiche adottate dal suo governo, a quanto ci si dice su mandato dell’Europa. Il paradosso è che queste politiche antipopolari non solo stanno impoverendo la gran massa dei cittadini di mezza Europa – dall’Irlanda alla Grecia -, ma non acquietano neppure l’euroscetticismo crescente nei paesi virtuosi, ove si hanno in uggia anche le forme più modeste di solidarietà comunitaria.
In conclusione, l’appiattimento arbitrario dell’euroscetticismo sul populismo è una mossa impropria, ma anche pericolosa, che potrebbe entrare in consonanza con la disinvolta speculazione politica già avviata in Italia da Maroni e dalla Lega. I quali richiedono un referendum sull’Europa, puntando a ricongiungere davvero sentimenti di assai diverso tenore e a incassare il risultato.
Viceversa, l’euroscetticismo antidemocratico e razzista dei populisti c’è solo da isolarlo, mentre gli altri umori critici vanno curati con una terapia adeguata. Restituendo l’Europa al suo ideale originario di spazio solidale più ampio delle vecchie nazioni e abbandonando le spietate politiche che sono condotte in suo nome.
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