by Sergio Segio | 29 Settembre 2012 7:55
Il romanzo ci permette di comprendere una realtà che, senza di esso e altre istituzioni culturali — la religione, le ideologie — sarebbe per noi semplicemente caotica. Siamo privi di riferimenti di fronte a quel caos che è la vita in cui siamo immersi, ed è per questo che esiste la cultura: per offrirci strumenti che ci consentano di trovare un ordine, di dare alla nostra vita una coerenza che, grazie a quelle creazioni, a quelle istituzioni, ci evita di vagare nella confusione e nelle tenebre.
Credo che da questa necessità siano nate le storie, nella notte dei tempi, nella caverna primitiva, quando quegli esseri umani pieni di terrore di fronte a un mondo di cui non comprendevano nulla, in cui tutto rappresentava una minaccia, iniziarono, dopo avere inventato il linguaggio, a raccontarsi storie, vale a dire a evadere da quel mondo pieno di pericoli per rifugiarsi in un mondo diverso in cui si sentivano più sicuri, in un universo che potevano comprendere perché aveva un inizio e una fine, perché i comportamenti umani avevano una spiegazione, delle motivazioni e delle conseguenze.
Quel mondo di finzione, inventato dai primi raccontatori di storie, dei quali noi romanzieri siamo i discendenti, creò un ordine artificiale, che però ci permise di organizzarci, di vivere e di cominciare a capire il mondo reale.
Tutto questo continua ad accadere. Quando i romanzi sono davvero riusciti, ci soggiogano, ci strappano da questa vita che è caos e confusione, e ci fanno vivere, nell’esperienza magica della lettura, la finzione come una realtà ; torniamo poi nel mondo con una sensibilità più acuta per comprendere ciò che ci circonda, per scoprire meglio il rapporto gerarchico tra ciò che è importante e ciò che è secondario; inoltre, torniamo nel mondo con un atteggiamento critico.
Questo è un altro dei grandi contributi che il romanzo ha dato alla Storia, al progresso umano, alla civiltà . Le storie ci intrattengono, ci divertono, ci procurano piacere, ma ci educano anche ad adottare un atteggiamento censorio rispetto al mondo. Quando leggiamo un grande romanzo e scopriamo che lì, in quel mondo inventato, tutto è perfetto — in un romanzo riuscito è perfetto persino ciò che è brutto e imperfetto: è il miracolo della letteratura — e poi torniamo alla nostra piccola esistenza quotidiana, è impossibile non sentirci defraudati, disincantati, se confrontiamo la perfezione della finzione che abbiamo appena vissuto con la realtà del mondo a cui siamo tornati.
Tutto ciò suscita nei lettori, che lo sappiano o no, un disagio che alla fine si trasforma in una critica al mondo in cui viviamo. L’atteggiamento di distanza, di inquietudine, di critica rispetto alla realtà è stato il motore del progresso e della civiltà . Per questo tutti i regimi che hanno cercato di controllare la vita dalla culla alla tomba, di non permettere agli individui di lanciarsi in direzioni impreviste che il potere riteneva pericolose, hanno sempre diffidato della letteratura. Il romanzo è stato il genere più censurato, perseguitato e proibito. Senza eccezioni.
Nelle dittature religiose, nelle dittature politiche, di estrema destra o di estrema sinistra, compaiono sempre la censura, i tentativi di controllare il mondo della fantasia, dell’invenzione. Come se tutti i regimi vedessero nella letteratura un pericolo per la loro stessa esistenza. E non sbagliano. C’è un rischio nel lasciare che una società produca letteratura e s’impregni di letteratura. Una società impregnata di letteratura è più difficile da manipolare da parte del potere, è più difficile da sottomettere e da ingannare, perché l’inquietudine con la quale torniamo nel mondo dopo esserci confrontati con una grande opera letteraria crea cittadini critici, indipendenti e più liberi di quanti non vivono quell’esperienza.
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