L’Anm a Ingroia: eviti di fare politica

by Sergio Segio | 11 Settembre 2012 7:42

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ROMA — Brusco stop decretato dall’Associazione nazionale magistrati nei confronti di «comportamenti oggettivamente politici» del procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia, che inoltre avrebbe dovuto dissociarsi dall’attacco pubblico al capo dello Stato, sferrato nel corso del dibattito cui partecipava il pm lunedì scorso insieme al collega Nino Di Matteo. Ma Ingroia ha rivendicato la legittimità  delle sue «analisi storica e sociologica del fenomeno mafioso» comunque sottolineando che quando si tratta di giudizi politici tutti hanno il diritto di averne e di esprimerli.

Il caso è nato dal fatto che il pubblico ministero palermitano in sostanza aveva affermato che per recidere i legami mafia-politica, è necessario un ricambio degli uomini politici che hanno fatto solo strategia di contenimento e non di contrasto nei confronti delle cosche.
Riferendosi poi alle notizie relative a un’intervista di Ingroia a Rainews il presidente dell’Anm, Rodolfo Sabelli ha affermato: «Tutti i magistrati, e soprattutto quelli che svolgono indagini delicatissime devono astenersi da comportamenti che possono offuscare la loro immagine di imparzialità , cioè da comportamenti oggettivamente politici». Per il leader Anm «è condivisibile l’invito di Ingroia a rifiutare la connivenza e la collusione tra mafia e politica», ma «se è un invito ai cittadini a cambiare la classe dirigente del Paese il comportamento assume oggettivamente connotati politici e si rischia di offuscare l’immagine di imparzialità  della Procura di Palermo». Sabelli ha colto l’occasione per invitare i magistrati a «evitare ogni tipo di sovraesposizione».
Tanto più — e questa è la seconda contestazione di Sabelli a Ingroia — se come accaduto lunedì «ci si trova in manifestazioni di dissenso plateale nei confronti del capo dello Stato — ha detto riferendosi alle parole di Marco Travaglio — un magistrato, a tutela della sua imparzialità , deve dissociarsi, soprattutto se è titolare di indagini molto delicate che si sono prestate a strumentalizzazioni esterne».
Ma neanche su questo punto Ingroia ha accettato le critiche: «In un dibattito — ha detto — ognuno si assume la responsabilità  personale delle proprie opinioni. Se si partecipa a un dibattito a più voci ciascuno dice quello che pensa e ne risponde».
Concorda con il presidente dell’Anm, Cosimo Ferri, segretario di Magistratura indipendente (la corrente maggioritaria della magistratura): «Compito dei magistrati è accertare la verità  ed applicare le leggi, saranno i cittadini a dire da chi vogliono essere governati».
Sul caso è intervenuto il capogruppo pdl al Senato Maurizio Gasparri (che si è chiesto «dove è stato Sabelli fino ad ora»). Ha controreplicato Donatella Ferranti del Pd («Gasparri ha perso un’altra occasione per tacere»).
Sulla trattativa Stato-mafia proseguono intanto le audizioni della Commissione parlamentare antimafia presieduta da Giuseppe Pisanu. Ieri è stato ascoltato per tutto il pomeriggio Giuliano Amato, presidente della Treccani e presidente del Consiglio tra il ’92 e il ’93, che non solo ha smentito di essere stato a conoscenza della trattativa con la mafia, ma ha negato a trecentosessanta gradi di aver avuto «pressioni sulla scelta dei ministri del mio governo».
«Se durante il mio governo uomini dello Stato hanno trattato con la mafia, di sicuro non lo hanno detto a me, altrimenti li avrei fermati in trenta secondi» ha affermato. E ancora: «Nelle proposte fattemi da Forlani — ha ricordato Amato — all’Interno sarebbe dovuto andare Nicola Mancino e Vincenzo Scotti, in precedenza all’Interno, si sarebbe spostato agli Esteri». Quest’ultimo, ha sottolineato, «non mi segnalò mai il suo desiderio di restare all’Interno e perciò rimasi sorpreso quando lui successivamente disse di aver provato sorpresa e preoccupazione per non essere rimasto all’Interno».
L’ex premier ha poi negato che Bettino Craxi gli avesse imposto l’esclusione di Claudio Martelli dal ministero della Giustizia. Secondo Amato è possibile che ci fossero altre mani dietro le stragi: «Non sono in grado di escluderlo vista la tecnicalità  del delitto che è più tipico del terrorismo internazionale, ma non ho alcun elemento oltre questo». Il sottosegretario Gianni De Gennaro, all’epoca capo della Dia, ha detto anche lui di non aver mai sentito parlare di «trattativa» ma «non escludo — ha aggiunto parlando di contatti tra Ros e Vito Ciancimino — di aver sentito parlare di qualche forma di collaborazione, ma non è consuetudine condividere informazioni tra organismi investigativi a indagini in corso». Ancora: «Il riferimento alle “menti raffinatissime” fatto da Falcone dopo il fallito attentato dell’Addaura — ha detto De Gennaro — è probabilmente da ricercarsi nelle logge massoniche».
M. Antonietta Calabrò

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