L’abbraccio di Milano a Martini “Grazie per averci reso fratelli”

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MILANO — È qui la Terra Santa di Carlo Maria Martini, è questo sagrato transennato che si contrae a singhiozzo, che aspira gente di ogni età  e provenienza, decine di migliaia di persone: un flusso umano mai rotto, fino a notte alta. Un segno. Uno dei tanti da cogliere dentro una lunga giornata da memoria collettiva. Fabio e Vincenzo sono una coppia di Brindisi. T-shirt no logo, commozione. Dicono che «se la chiesa è indietro due secoli, Martini era avanti 300 anni». Lo chiamano, con un po’ di enfasi, «l’eroe rivoluzionario »; ma «prima di tutto era un vero uomo di Dio. Perché un arcivescovo che non demonizza il preservativo, che accetta l’amore omosessuale, fa quello che dovrebbe fare ogni buon pastore. Unire, fratellare, abbattere il muro dei pregiudizi e delle ipocrisie». Lo sguardo di Fabio e Vincenzo non si stacca un attimo dal feretro. Entreranno in Duomo quattro volte, che vuol dire quattro file di mezz’ora. Quattro momenti di raccoglimento là  davanti, sotto la navata centrale dove c’è lui. Disteso sembra ancora più alto. La veste bianca, il naso adunco e affilato, il pastorale appoggiato lungo il fianco sinistro. Paiono due giunchi, impossibili da spezzare. Persino il Parkinson, in effetti, si è dovuto impegnare.
Quante persone volevano bene al cardinal Martini. Quanto lo ammiravano. E quanto hanno da restituirgli adesso che sono qui a salutarlo nella “sua” cattedrale, a offrirgli in dono il cuore di Milano per rendergli più lieve il trapasso. Li fanno entrare nel Duomo a gruppi di trenta, venti, dieci per volta per volta. Loro fotografano coi telefonini la fila gonfia e ordinata che si allunga oltre il centro della piazza, alle spalle del monumento equestre a Vittorio Emanuele II. Ognuno disegna coi pensieri il proprio ricordo. Il “link” personale con il cardinale che sapeva parlare a tutti. Evelyn Endaia, domestica filippina, quarantacinque anni, a Milano da dieci. «È stato un grande, una persona straordinaria che tutto il mondo dovrebbe ringraziare». Se lo ricorda bene Martini nel 2002. Per lui era l’ultimo anno di episcopato, per lei il primo di lavoro in un appartamento di corso Magenta, a due passi da qui. «Mi ero appena trasferita da Roma.
Martini mi ha subito colpito, aveva la pace negli occhi. La sua bravura è stata costruire ponti tra le religioni, tra credenti e non credenti. E poi si preoccupava per i paesi poveri. Diceva che se Dio ci ha fatto tutti uguali sulla Terra, allora ci vuole equilibrio tra le nazioni ricche e quelle meno fortunate ». All’ex arcivescovo di Milano sarebbe
molto piaciuto questo pellegrinaggio alla sua camera ardente. È un rito dolce, profondo. Partecipato da una folla di fedeli e non. Alle dieci di sera i dati ufficiali della Diocesi parlano di 60mila visitatori. Tutti molto fidelizzati. Martiniani nell’anima, nel cuore, o semplicemente nel pensiero.
Quando arriva la salma, è mezzogiorno, Elena è già  sul sagrato che aspetta. Tre ore più tardi è sotto l’altare maggiore a pregare per «Carlo Maria». Lo guarda e piange tenendo sotto braccio la sorella più piccola. Lo chiama per nome, Martini. Racconta. «Nel ‘90, avevo 18 anni, partecipai al Gruppo Samuele (un cammino di discernimento vocazionale promosso dalla Pastorale Giovanile della Diocesi di Milano,ndr).
Era stata una sua idea quel cammino, una delle tante intuizioni brillanti. Per me il Papa è sempre stato lui. Il punto è che, nella pratica, non lo sarebbe mai diventato: dava troppo fastidio, era scomodo. Troppo avanti per la Chiesa di oggi, troppo moderno e troppo giusto. Troppo autonomo quando si trattava di dire come la pensava su certi temi». Forse ha ragione Elena. Perché al di là  di come andò il Conclave del 2005, al netto della dignità  di Martini quando rinunciò alla candidatura per il Pontificato perché piegato dalle condizioni di salute, l’uomo che sapeva parlare agli atei viene salutato come un Papa. «Ci ha lasciato soli – ragiona Vittorio Mafioletti, in fila con moglie catechista e due figli nel passeggino – un uomo così, con una personalità  così, la chiesa lo partorisce ogni mille anni. Lui me lo sono goduto, il prossimo credo di no». Alle 16.15 arriva Bersani. Accede al Duomo dall’ingresso laterale. Un quarto d’ora in raccoglimento davanti alla salma, un saluto a don Virginio Colmegna, della Casa della Carità . «Che cosa lascia Martini? Un messaggio di cultura, di apertura, serio, civile tra posizioni diverse anche per chi non è credente ». Prima di lui era passato il ministro dell’Interno, Annamaria Cancellieri. Oggi, alle 17, Mario Monti renderà  omaggio al cardinale «che ha lasciato un vuoto incolmabile ». Il ministro chiede di restare sola: segno della croce, una lacrima di commozione.
Il cardinale è esposto davanti all’altare.
Quattro corone di rose bianche, un pulpito rivestito di velluto bordeaux, una candela bianca. Sarà  sepolto – spiega monsignor Luigi Manganini, arciprete del Duomo – sotto il crocifisso di San Carlo Borromeo. «Posso fare una fotografia col telefonino? ». Graziella, peruviana, è infermiera al Niguarda. «Io vedo pazienti morire ogni giorno tra sofferenze atroci. Le parole di Martini sulla morte dolce, e il modo in cui lui stesso ha scelto di andarsene, sono un esempio che tutti dovrebbero seguire».
L’agente chiude un occhio. Il cellulare fa clic. Si fotografa anche durante il rosario: il servizio di sicurezza è attento ma conciliante. Ci sono signore anziane che si attardano davanti alla salma. Tina De Tullio è venuta apposta da Pescara. Prega, poi solleva il capo: «sembra che dorma… ». Tutti i banchi della cattedrale sono occupati. Nelle otto file laterali, a destra e a sinistra della salma, siedono la sorella di Martini, Maris, coi due figli, Giulia e Giovanni, e i confratelli più vicini. A vegliare restano le suore Salesiane, del Beato Angelico, le ausiliarie diocesiane, le Marcelline. È sera. La gente continua a entrare in chiesa e a fare la fila là  fuori, nella Terra Santa del cardinale.


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