La Tunisia a caccia di Iyadh il nuovo sceicco del terrore

by Sergio Segio | 17 Settembre 2012 7:31

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KAIROUAN (Tunisia) — Hanno cominciato a dargli la caccia quando ancora dall’ambasciata americana a Tunisi si levavano le colonne di fumo nero provocate da una sessantina di macchine incendiate nel parcheggio. Nella sua casa a poche decine di metri dalla moschea Fatah su avenue de la Liberté, in pieno centro di Tunisi, sono arrivati decine di po-liziotti, ma di Abou Iyadh non c’era più nessuna traccia. Il quarantacinquenne sceicco, che in realtà  si chiama Seifallah Benhassine ed è considerato il capo dei salafiti jihadisti (i salafiti, come ci diranno molti di loro, appartengono a tendenze e militanze diverse) è accusato dalle autorità  tunisine di aver organizzato l’attacco all’ambasciata venerdì e da allora la polizia ha lanciato, per così dire, la caccia all’uomo.
Ingiustamente, dice Abdelbasset, uno dei tanti venditori ambulanti che intorno alla moschea vendono galabia e hejab, profumi e libri sacri, rosari e foulard. Il corteo dei dimostranti, è vero, era partito da qui (altri da altre parti della città ), dice, ma la violenza non era prevista, è cominciata per colpa dei poliziotti e di facinorosi che con i salafiti non c’entravano per nulla. Abou Iyadh aveva lasciato la manifestazione non appena erano cominciate le violenze, dicono. Ma il governo è imbarazzato per aver dato un’ennesima manifestazione di incompetenza (ormai proverbiale, tanto da essere oggetto di sketch comici nelle tv private, ai quali il governo ha reagito mettendo in carcere l’autore). Intorno ad Abdelbasset si forma un capannello, tutti sono interessati a spiegare, con gentilezza disarmante, che l’immagine che si ha all’estero dei salafiti non corrisponde alla realtà . Anche loro erano andati alla manifestazione, dicono, per testimoniare pacificamente il loro sdegno per un film indegno, ma la situazione è sfuggita di mano, per colpa di poliziotti allo sbando, di provocatori del vecchio regime e di qaedisti abili a cogliere ogni occasione per provocare incidenti. In altre parole di infiltrati.
La calma è ormai tornata in città . Del “giorno dell’ira”, che ha fatto ben quattro vittime oltre a una cinquantina di feriti, non sono rimasti che qualche esile filo di fumo che ancora si leva dalle decine di auto mandate a fuoco e il muro annerito della scuola americana di fronte. Ma Washington non si fida, teme che la calma non durerà  a lungo e ha annunciato che ritirerà  i propri diplomatici dalla Tunisia.
A Kairouan, due ore di macchina a sud di Tunisi, i salafiti hanno il loro centro. È qui che Abou Iyadh organizzò all’inizio dell’estate una manifestazione davanti alla moschea di Zitouna, la più antica del paese e della Tunisia. Kairouan è una bellissima città  che l’Unesco ha dichiarato patrimonio culturale dell’umanità , e che era stata nel 630 d. C il primo insediamento islamico in Tunisia. Durante il regime di Ben Ali i salafiti venivano pesantemente controllati e perseguitati. «Allora non avrei potuto star seduto qui al caffè accanto a lei, il regime me l’avrebbe impedito con il pretesto di proteggere la sicurezza degli stranieri», dice Rafi Trade, uno dei salafiti che organizzò a fine maggio il raduno di Abou Iyadh, di cui è amico. Il padre di Rafi, Mohamed, un professore di Francese e letteratura comparata, figlio a sua volta di un accademico arabista, ci fa una lezione sul salafismo, cominciando dalla radice: «“Salaf” vuol dire gli antenati, i contemporanei del Profeta, mentre “halaf” siamo noi, gli eredi, che il messaggio di Maometto l’abbiamo in parte travisato, corrotto. Ecco — spiega — i salafiti vogliono tornare alle parole del Profeta, alla sharia,
ma con il convincimento, non con la violenza». Di come la sharia si possa applicare in una democrazia, quale sia l’autorità  suprema in un Paese in cui viga la legge divina, nessuno ha un’idea chiara. Le risposte vanno da citazioni del Corano e storie dimostrative della compassione del Profeta ad aneddoti sulla generosità  e l’innocenza di questi ragazzi che a Kairouan garantiscono che non ci siano né ladri né profittatori. Pregando di tenere a mente che Allah protegge tutti gli esseri umani, nessuno escluso: perché l’Islam, dicono, è una religione che unisce. Mentre la politica divide.

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