La strage degli innocenti
LAMPEDUSA. Nuova strage in mare nel canale di Sicilia. Settantanove sono i dispersi, dopo l’ennesimo naufragio di un barcone vicino alle coste di Lampedusa. Per ora è stato trovato solo un cadavere. Sono cinquantasei i tunisini salvati, partiti dalla costa di Sfax (la seconda città della Tunisia) per raggiungere l’isola siciliana.
L’allarme è scattato nel tardo pomeriggio di due giorni fa. Una chiamata da un telefono satellitare ha dato il via alle operazioni di salvataggio della Capitaneria di Porto. Un migrante tunisino, utilizzando il proprio cellulare, ha affermato di trovarsi su un barcone in avaria a 15 miglia da Lampedusa. E’ stato così fatto subito decollare un elicottero della Guardia costiera a cui si sono aggiunti le motovedette ed altri mezzi di soccorso. In aiuto sono arrivato anche i pescatori lampedusani.
Quindi, in totale, erano 136 i tunisini a bordo di un vecchio barcone, tra cui dieci donne e sei minori, almeno secondo quanto riferito dai primi superstiti al comando generale della Capitaneria di Porto. Uno dei naufraghi era in precarie condizioni di salute ed è stato trasportato in elicottero per le cure necessarie. Tra gli altri, c’è anche una donna incinta, ma le sue condizioni non appaiono preoccupanti. Salvati anche cinque i minori senza genitori, stremati dopo la nuotata per portarsi in salvo. Tutti i superstiti sono stati condotti al centro di accoglienza di Lampedusa, tornato operativo.
A questo punto si affievoliscono le speranze di ritrovare i dispersi, di cui non ci sono ancora tracce. Mancherebbe dunque all’appello il doppio di quanti cercavano di raggiungere l’isola. E col passsare delle ore è diventata quasi una certezza l’ennesima strage in mare, dopo due giornate intense di ricerche dai vari mezzi di soccorso.
Intanto, le autorità stanno cercando di fare luce sull’episodio, anche perché al momento non si trova traccia del barcone che trasportava i tunisini. Potrebbe essere affondato rapidamente, ma è un’ipotesi che non convince del tutto gli inquirenti, perché le condizioni del mare erano piuttosto buone. Si pensa anche che gli immigrati possano essere stati abbandonati in mare da chi li aveva trasportati fino a lì. Ma anche in questo caso, secondo la Capitaneria, i conti non tornerebbero in quanto i mezzi durante le ricerche avrebbero dovuto intercettare la presenza di una imbarcazione in fuga. I racconti dei migranti però coincidono tra loro e dunque è molto probabile che si tratti davvero dell’ennesima tragedia nel mare di Sicilia, un’ecatombe che evidentemente non conosce fine.
«Non c’è un’emergenza sbarchi, ma un’emergenza per le troppe morti in mare nel Mediterraneo», è il commento di Laura Boldrini, portavoce dell’Alto commissariato per i rifugiati dell’Onu (Unhcr), la quale spiega come in Italia nel 2012 siano arrivate appena 7mila persone via mare.
«Un numero assolutamente contenuto soprattutto se lo si confronta con i dati dell’anno scorso – continua Boldrini – quando in questo periodo erano già arrivate dall’inizio dell’anno 52mila persone. La vera emergenza sono le morti in mare che restano molte e che si potrebbero arginare. Al di là delle responsabilità specifiche dei singoli naufragi, su cui è di primaria importanza fare chiarezza per evitare che il Mediterraneo diventi una sorta di terra di nessuno dove vige l’impunità , vi è una responsabilità collettiva legata all’indifferenza e al considerare tutto ciò ineluttabile, anziché cercare soluzioni concrete per evitare che ciò si ripeta».
Intanto la procura di Agrigento ha aperto un’inchiesta sul naufragio di Lampedusa. Lo annuncia il procuratore capo Renato Di Natale: «Ancora è troppo presto per conoscere i dettagli di questa vicenda, certamente apriremo un fascicolo processuale, anche se ancora non sappiamo se contro ignoti. Stiamo aspettando gli atti relativi al fascicolo e poi decideremo, intanto si tratta di atti relativi a un naufragio».
Sulla tragedia è intervenuto anche il ministro degli Interni, Anna Maria Cancellieri, per il quale i fenomeni migratori «sono un fenomeno epocale sul quale dobbiamo lavorare soprattutto in sintonia con l’Europa, che deve starci vicina perché l’Italia è un paese molto esposto».
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