LA SFIDA CHE UNISCE ITALIA E FRANCIA

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Non tanto per via delle voci di elezioni anticipate al prossimo autunno – ipotesi invero poco probabile – ma perché in ogni caso lascerà  il suo posto dopo il voto della primavera 2013. Come il professore sa bene, oramai i partiti che lo sostengono si chiedono un’unica cosa: come sbarazzarsi di lui senza apparire responsabili della sua caduta. D’altra parte però, Mario Monti ha in mano almeno tre importantissimi atout.
Dopo aver imposto una terapia d’urto per risanare i conti pubblici, e intrapreso un’energica lotta contro le frodi fiscali, si è adoperato per il rilancio della crescita attraverso un pacchetto di misure, recentemente approvate dal Consiglio dei ministri. Anche se non sembrano aver convinto fino in fondo i mercati, queste misure hanno ricevuto il plauso di quasi tutti gli osservatori. Peraltro, il cosiddetto «governo tecnico» che presiede ha promulgato in tempi record una serie di iniziative politiche che aprono cantieri di dimensioni titaniche, e costituiscono una delle maggiori imprese riformiste finora realizzate in Italia. In effetti, Mario Monti si è affermato come un vero leader europeo, e ha suscitato l’ammirazione di tutti gli osservatori esteri, che non cessano di lodarne il coraggio, l’energia e l’ampiezza di vedute.
Dal canto suo, anche il visitatore francese, Franà§ois Hollande, si trova in una situazione paradossale, seppure per ragioni diverse. Socialista e politico di grande esperienza, è stato eletto da poco più di tre mesi, e ha dunque altri cinque anni davanti a sé. Può disporre di tutti gli ingranaggi del potere: un primo ministro su cui fare affidamento, una maggioranza all’Assemblea nazionale e al Senato, il controllo di quasi tutte le regioni e di gran parte delle maggiori città . Ciò nonostante, è bersagliato dai critici che giudicano scarso il suo primo bilancio. Durante la campagna elettorale aveva annunciato una serie di riforme da avviare prima della tregua estiva. Una promessa mantenuta solo in parte, benché possa già  citare al suo attivo numerose risoluzioni: ad esempio il taglio alle retribuzioni del Presidente della Repubblica e dei ministri; l’aumento – per quanto infimo – del salario minimo; maggiori finanziamenti per le diverse misure a sostegno delle famiglie; l’assunzione di nuovi insegnanti; l’imposizione di un tetto alle remunerazioni dei dirigenti di imprese pubbliche; l’aumento di svariate imposte e tasse; il pensionamento a 60 anni per certe categorie di lavoratori con molti anni di anzianità ; la riduzione (di 6 centesimi di euro) del prezzo della benzina, ecc. Infine, Franà§ois Hollande ha saputo imporsi nel contesto dell’Ue, e ha reso possibile la conclusione del patto europeo per la crescita – seppure al prezzo di qualche concessione alla Cancelliera Merkel.
Assisteremo ora, a Palazzo Madama, a quell’irresistibile ravvicinamento tra Roma e Parigi che alcuni analisti credono di individuare da quando Franà§ois Hollande è stato eletto alla presidenza della Repubblica francese? Da qualche mese si è notata tra i due presidenti un’innegabile convergenza nel perseguire l’obiettivo, di interesse comune, di smuovere la Germania; ma al tempo stesso esistono tra loro divergenze profonde. Mario Monti postula una serie di liberalizzazioni e privatizzazioni; vorrebbe accrescere la mobilità  del mercato del lavoro e incentivare la concorrenza. Dal canto suo, il presidente francese si è posto, già  per il prossimo anno, l’obiettivo di portare il deficit al di sotto della barra del 3%; ha notevolmente aumentato la pressione fiscale, pur affermando di non voler penalizzare le imprese; sta creando nuovi posti di lavoro nel pubblico impiego e intende limitare il precariato. D’altra parte, se Mario Monti è favorevole a un federalismo europeo, nonostante il crescente euroscetticismo e talora anche l’ostilità  verso l’Europa, Franà§ois Hollande deve vedersela con il Fronte della sinistra, i Verdi e persino una frazione del suo stesso partito, contrari all’adozione del trattato di bilancio europeo. Il risultato è che l’Italia di Mario Monti, per quanto economicamente indebolita e politicamente incerta, sta facendo nuovamente sentire la propria voce in Europa, mentre la Francia di Franà§ois Hollande, che pure può contare su istituzioni solide e ha minori difficoltà  economiche, dovrà  risolvere i suoi problemi interni per poter continuare a giocare nell’Ue il ruolo che le compete.
Infine, sia il premier italiano sia il presidente francese incarnano un nuovo tipo di leadership. Mario Monti ha ricevuto la sua investitura da una maggioranza del tipo «unità  nazionale », che non si è mai data un nome; mentre Franà§ois Hollande è un uomo di sinistra che si confronta con la destra. Hanno però in comune la volontà  di rompere con lo stile dei rispettivi predecessori, Silvio Berlusconi e Nicolas Sarkozy. Monti è un tecnico che rifiuta la demagogia; Hollande ha fatto una scelta politica deliberata: quella di presentarsi come «un presidente normale». Entrambi, in un certo senso, si propongono di lasciarsi alle spalle gli eccessi di personalizzazione generati dalla «democrazia dell’opinione pubblica». Ma i giudizi, sia sul tecnico determinato sia sul prudente politico, appaiono contrastanti. Secondo i sondaggi Ipsos, alla fine di luglio gli italiani che si fidavano di Monti non superavano il 50%: 26 punti in meno rispetto al novembre 2011, ma 6 in più dello scorso mese di giugno. Un risultato comunque soddisfacente, tenuto conto di tutto ciò che gli italiani hanno subito da poco meno di un anno. Sull’altro versante delle Alpi, secondo un sondaggio di fine agosto della Tns-Sofr, il numero dei francesi soddisfatti del nuovo presidente è sceso al 50% (contro il 55% rilevato in luglio). Il problema che si pone a entrambi è dunque lo stesso: come uscire dalla crisi ripartendo equamente dei sacrifici, per beneficiare del sostegno di un’opinione pubblica che oggi rischia di voltare le spalle alla politica, o di cedere alle sirene del populismo.
(Traduzione di Elisabetta Horvat)


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