by Sergio Segio | 19 Settembre 2012 7:15
TARANTO — «Non c’è molta scelta. O produciamo o chiudiamo. Se non ci lasciassero produrre per noi non sarebbe più possibile sostenere gli investimenti, quindi dovremmo necessariamente muoverci in uno scenario diverso…». Il presidente dell’Ilva Bruno Ferrante non pronuncia mai la parola «licenziamenti», parla per lui quel «o produciamo o chiudiamo», quindi licenziamo. Sono le cinque e mezzo del pomeriggio e la giornata è stata decisamente in salita. La mattina in procura a presentare il piano di risanamento ambientale che l’azienda propone e a depositare un’istanza che chiede la possibilità di «un’attività produttiva minima». Nel primo pomeriggio l’incontro burrascoso con i sindacati (soprattutto la Fiom che lo accusa di non dare «risposte vere su nessun punto») e infine una conferenza stampa quantomai affollata per spiegare quale peso lo stabilimento ha messo sul piatto della bilancia con il suo cronoprogramma di interventi. Per esempio i parchi minerari, uno dei punti più dolenti fra quelli indicati dalla magistratura che li ritiene responsabili dell’inquinamento del vicino quartiere Tamburi. Per la prima volta l’Ilva considera così seria l’eventualità di una loro copertura da mettere in conto uno studio di fattibilità da realizzare entro 15 mesi. Impermeabilizzarli, ridurne la giacenza media, bagnare le polveri con una nuova rete di idranti, completare la barriera frangivento che li circonda… Insomma: provare a seguire la via indicata dai custodi giudiziari. Su questo ma anche sugli altri cinque settori sotto sequestro. Anche se a dire il vero il piano Ilva (da mettere a punto in quattro anni e mezzo, com’è scritto nel cronoprogramma) in alcuni punti (le acciaierie, tanto per citarne uno) è decisamente lontano dalle disposizioni che gli stessi custodi hanno dato nella direttiva di lunedì sera. Quel documento stabilisce di rifare completamente sei batterie delle cokerie degli altiforni, spegnere 6 torri e 2 altoforni, fermare l’acciaieria 1, adeguare l’acciaieria 2, e rifare il reparto «Gestione materiali ferrosi». Nessuna indicazione sui tempi ma un inquirente rivela: «Da lunedì prossimo», mentre la Uilm di Antonio Talò dice «senza indicare i tempi i custodi fanno solo terrorismo».
Ferrante parla dei 400 milioni che lo stabilimento annuncia di voler stanziare, compresi i 146 già annunciati nel corso dell’estate. E spiega che «chiaramente il programma e lo stanziamento» fanno parte di «un pacchetto di primissimi interventi», anche «in attesa che sia definita l’Autorizzazione integrata ambientale».
Per quel che riguarda i soldi si tratterebbe in realtà di una piccolissima parte, dato che le stime di massima che i custodi giudiziari prevedono per venire a capo del caso-Ilva ammontano a una spesa complessiva dieci volte superiore. Per rendere inoffensiva la fabbrica che secondo i periti del giudice Patrizia Todisco inquina e produce malattie e morte, servirebbero fra i quattro e i cinque miliardi di euro: più di un miliardo soltanto per la ristrutturazione degli impianti e più o meno altri tre per il resto, soprattutto per la copertura dei parchi minerari.
La parola chiave per uscire dall’impasse giudiziario è «investire», a partire proprio dalle somme per il risanamento ambientale. «Ma dove li troviamo i soldi se non ci fanno produrre?» rilancia Bruno Ferrante che adesso aspetta dalla magistratura una risposta alla sua istanza.
Il procuratore capo Franco Sebastio da Roma, dove ieri è stato ascoltato dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti, fa sapere che non saranno i suoi pubblici ministeri a occuparsene («la manderemo al gip e il gip deciderà ») dopo aver spiegato nell’audizione che «l’inchiesta non è ancora chiusa». E aggiunge: «Ma non era Ferrante a dire qualche giorno fa che se si produce di meno si inquina di più?».
Nell’istanza presentata ieri il presidente dell’Ilva fa riferimento alle disposizioni date dai giudici del tribunale del Riesame: «Non chiediamo di modificare le decisioni prese ma di salvaguardare gli impianti e mantenere, come dice il Riesame, l’attività strategica produttiva». Dove per «strategica» la procura intende «utile al fine esclusivo della bonifica ambientale».
Giusi Fasano
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