La grande abbuffata a tavola al ristorante 46mila euro e 1400 per le mozzarelle

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ROMA — Le centodue le pagine che documentano due anni di movimenti in uscita dell’ormai famigerato conto Unicredit 0000401372093, “Gruppo Consiliare Popolo della libertà  – via della Pisana 130”, il pozzo di san Patrizio da cui sono stati succhiati 5 milioni e 900 mila euro di “fondi destinati al funzionamento del Gruppo”, non sono soltanto la fotografia nitida della bulimia rapace di un uomo (Franco Fiorito) e di quanti nel partito quell’uomo beneficiava. Dell’irresistibile e sfacciata inclinazione all’attrippata, alla “robbabbella” a scrocco, come Repubblica ha continuato a documentare in questi giorni. In quelle carte è la prova di un metodo e di una prassi. Quel “chiedo e ricevo” che, sostiene Fiorito, veniva normalmente scarabocchiato su un qualsiasi pezzo di carta, autorizzando i consiglieri, lui per primo, a rimborsi, e spesso ad anticipi, per contanti, assegni o bonifici, di spese della cui giustificazione nessuno avrebbe mai chiesto davvero ragione. Fosse il partito, il consiglio regionale, l’ufficio di Presidenza dell’Assemblea, il Co.re.co.co (il Comitato di controllo).
LA MOZZARELLA PER IGNOTI
Prendiamo quel che accade il 9 maggio di quest’anno. Il conto Unicredit registra l’addebito di una carta di credito “Cirrus Maestro” che striscia alla cassa del “Caseificio Valleverde”, in via Casilina sud 373 (Roma), 1.380 euro in formaggi. Mozzarelle, verrebbe da dire. O forse ricotte e caciottine. Se fosse bufala, a 10, 12 euro al chilo, farebbe un quintale e mezzo di latticini. Come che sia, una di quelle spese da sfamare un esercito. Bene, per chi fosse tanta abbondanza non è dato sapere. Né è dato sapere in che modo la “bufala” o il pecorino consenta il corretto funzionamento del gruppo Pdl alla Pisana. Ma l’episodio, appunto, conferma la prassi per la quale ignota deve restare la mano che davvero ha usato denaro pubblico per riempirsi la pancia, arredarsi casa, o ricaricare il cellulare (in bollette per la telefonia mobile e fissa se ne vanno 76.856 euro).
46 MILA EURO IN COPERTI FANTASMA
Non è diverso con i ristoranti. Tra il maggio del 2010 e il luglio di quest’anno, dal mammellone Pdl dell’Unicredit vengono munti 46 mila 534 euro che finiscono in pranzi e cene in trenta diverse locande o taverne. Talvolta dal nome degno di questa storia (“Il covo del Brigante”, piuttosto che “lo Schiaffo”).
Ed è — intendiamoci — una cifra per difetto. Documentabile solo perché quel denaro è stato accreditato a beneficio di ristoratori (nulla infatti impedisce di ipotizzare che altre occasioni conviviali siano state pagate in contanti). Ebbene, nelle causali che sul conto Unicredit accompagnano il saldo dei convivi, un’abile mano impedisce di offrire anche solo una traccia utile a risalire a chi del gruppo Pdl ne abbia goduto e con quali ospiti. In due anni, soltanto in due occasioni, i pranzi e le cene presentano infatti costi “ragionevoli”, che lasciano intendere serate per due o tre, o quattro persone. Ci sono tombole da 9.900 (“Pasqualino al Colosseo”), 8.800 (“Caffé Martini”), 2.501 (“Il Ritrovo” di Cori) o 1.501 euro (la pasticceria “Dolce maniera” in Prati, a Roma) in cui non solo non viene indicato il numero dei coperti, ma neppure, per quanto genericamente, la ragione della spesa.
UN FORMAT COSTANTE
La prassi di rendere irrintracciabili il chi e soprattutto il perché dell’uso del denaro del gruppo è un format che si ripropone costante nei due anni documentati dalle 102 pagine di estratto conto. Dunque non solo quando si deve dissimulare il piacere della gola, il gusto per il resort di charme (in alberghi se ne vanno 30.862 euro), per l’elettronica (5.018 euro) o l’arredamento di interni (50.990 ero). Ma anche quando si deve dare conto delle sequenze di pagamento dei “collaboratori” e dei “consulenti” del gruppo, quale che sia il loro rapporto di lavoro (a progetto, piuttosto che a termine). Ovvero le loro mansioni. O ancora le ragioni per le quali vengono pagati con scadenze che spesso non sembrano avere una sequenza logica: due volte in un mese, piuttosto che ogni trimestre. E a ben vedere, la ragione di questo modo di procedere è semplice. Fiorito, evidentemente in pieno accordo con il suo gruppo, deve annodare in un’unica, e a prima vista inestricabile, matassa contabile le sue spese e quelle di tutti i suoi consiglieri. Perché lui, come i suoi compagni di partito, ha bisogno di sovrapporre i costi di ciò che è lecito con quelli di ciò che non lo è. Non a caso, Fiorito accumula segretamente, quando esistono, quei pochi pezzi di carta con cui i suoi consiglieri mettono insieme i loro giustificativi di spesa. Perché quei pezzi di carta, come è accaduto, possano diventare la prova che sostenga una collettiva chiamata in correità . Dando magari il dettaglio di una portata a una conto-briscola in un ristorante di pesce (è successo con le ostriche del consigliere Andrea Bernaudo).
I BONIFICI A PACCHETTO
Confondere, dunque. E ancora confondere. In nome del “chiedo e ricevo”.
O, nel caso di Fiorito, del “ho bisogno e prendo”.
Il conto Unicredit dimostra che l’ex capogruppo lo ha fatto fino alla fine. E da un certo punto in poi (la primavera scorsa) in un crescendo. Ricorrendo, sempre più frequentemente, a “disposizioni di bonifico” a pacchetto per cifre importanti (40-50 mila euro a operazione). Un sistema che avevamo già  incontrato nel caso Lusi. Un banale accorgimento contabile che accorpa in un’unica voce di addebito sull’estratto conto operazioni di bonifico diverse, ma effettuate in uno stesso momento. Di cui restano così coperti importi e beneficiari. A scanso di ficcanaso.


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