La gaffe-verità  di Romney “I poveri? Non mi interessano”

by Sergio Segio | 19 Settembre 2012 6:56

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 WASHINGTON. HA DETTO la verità  e sembra una gaffe: al milionario Mitt Romney, e ai suoi ricchi finanziatori, di quella metà  d’America che fatica a campare non
importa nulla.
CHE si arrangino. Con nemici come Mitt Romney Obama non ha bisogno di amici. E’ lui, proprio il suo rivale diretto, il «Gaffeur in Chief» di questa stagione elettorale americana, il migliore alleato. Insolentendo il 47% dei cittadini trattati da parassiti e mangiapane a ufo, con una battuta detta in privato a un gruppo di finanziatori, Willard Mitt Romney ha convalidato tutti gli stereotipi sul disprezzo della destra per i meno fortunati ed è volato in soccorso di un Presidente assediato dalle fiamme dell’antiamericanismo che incendiano le capitale arabe. Le cosiddette gaffes, come i lapsus, contengono sempre le verità  che si vogliono nascondere.
E’ stato colto in un momento privato, in un “fuorionda” si potrebbe dire, il Mormone che indossa la biancheria magica sotto l’abito, secondo i dettati della propria fede, mentre manifesta il suo disprezzo per quel 47% di americani che votano Democratico perchè sono i mantenuti dal governo, i fannulloni, i parassiti che non pagano tasse, «quelli che credono di avere diritto al cibo, alla casa, alla sanità ». A 50 giorni dal voto, e a 3 settimane dal primo dibattito con Obama del 3 ottobre, l’insulto a metà  dei cittadini che dovrebbe poi governare come Presidente sarà  ricordato, se dovesse perdere la sfida, come uno di quei momenti che segnano il destino di una candidatura.
Che il leader repubblicano, uno che i simpatizzanti della destra sono stati costretti a sposare nelle primarie senza mai davvero amarlo, sia un fuoriclasse del “piede in bocca”, come qui si dice, della gaffe, non è una scoperta nè uno scoop. La sua avventata sortita da politicante contro la Casa Bianca dopo l’assassinio dei 4 americani a Bengasi, o l’indimenticato insulto agli organizzatori inglesi delle Olimpiadi durante una visita a Londra, sono stati soltanto alcuni dei momenti più celebri della sua antologia di sciocchezze. Tornano gli echi di altre famose gaffes di candidati che stroncarono ambizioni presidenziali.
L’inno alla «Polonia, nazione libera » fatto da Gerald Ford nel 1976, quando Varsavia era ancora saldamente sotto i gli stivali del Cremlino e il delizioso «ho votato contro quella legge dopo avere votato a favore» di John Kerry nel 2004, a proposito dei finanziamenti alle guerre di Bush.
Ma il clip audio video rubato a Romney da un anonimo partecipante a una riunione privatissima di finanziatori nel maggio scorso, a Boca Raton in Florida, va oltre la storditezza di Ford, la vaghezza di Kerry o le sfacciate bugie di Clinton che «non aveva avuto rapporti sessuali con quella donna» o il «non sono un disonesto» del disonesto Nixon. Quello che ha detto il repubblicano, ignorando stoltamente che nel tempo del telefonini che non dormono mai tutto può essere ripreso, ha il sapore di un harakiri politico, inflitto per lisciare il pelo alla destra più arcigna e classista del partito repubblicano, quella che vede nello stato l’ostacolo al proprio ulteriore e insaziabili arricchimento.
«C’è un 47% di americani che non pagano tasse federali sul reddito » si sente la voce di Romney dire, che vivono una vita «di dipendenza » dai benefici pubblici e dalla «elemosina del governo» e che dunque «voteranno sempre e comunque per i democratici, perché da loro dipende la sopravvivenza ». Lasciamoli perdere, spiega il Repubblicano ai presenti, che gli hanno appena staccato assegni da 50mila dollari per l’onore di ascoltarlo: «Io devo puntare a quel 5% di elettori di centro, indipendenti » che decideranno le elezioni. Poi Romney se l’è presa anche con i palestinesi che, dice, «non hanno alcun interesse a raggiungere la pace. Lo stesso cammino verso una stabilizzazione dell’area è quasi impensabile».
La clip, rimasta ignota per 5 mesi, riaffiora attraverso le pagine e il sito di Mother Jones, un periodico di sinistra. La ripesca il lavoro sotterraneo di James Carter, il nipote dell’ex presidente, che oggi lavora per l’Oppo Team, la squadra di attivisti che, in tutte le campagne elettorali, dedica il proprio tempo a cogliere in fallo l’avversario. Deliziosa vendetta, per il nipote di un presidente che i repubblicani e anche molto democratici raccontano come un fallimento, E’, sicuramente, autentico e ne riconosce l’autenticità  lo stesso Romney, fiondandosi a una conferenza stampa improvvisata, a un altro banchetto di elemosinieri da 50mila dollari per il solito pollo di gomma con insalata, per metterci una pezza. Sotto lo sguardo attonito di commensali eleganti seduti ai costosissimi tavoli, tra frotte di reporter che sgomitano e rovesciano sedie per chiedere a Romney se si renda conto di quel che ha detto balbetta: «Non mi sono espresso in maniera elegante», «non ho detto quello che penso in maniera efficace». Questione di forma e di stile, insomma. Ma l’elemento potenzialmente micidiale in quel commento tanto vero quanto rubato, non è soltanto la scontata rivelazione della doppiezza di un politicante che dice una cosa in privato e un’altra in pubblico, il che è più la norma che l’eccezione per tutti. Il veleno sta nel fatto che dentro quel 47% di «mangia pane a tradimento», e soprattutto nel 5% di indecisi e indipendenti che decideranno il risultato finale non ci sono affatto soltanto democratici ed elettori di Obama. Ci sono famiglie di piccola classe media bianca e spesso operaia, naufragate dopo lo scoppio della Grande Recessione di Bush nel 2008 e rimaste senza lavoro, dunque al di sotto del minimo imponibile. Ci sono anziani, pensionati che non pagano tasse sul reddito, ma pagano tasse locali e tasse indirette. Ci sono milioni di famiglie che detraggono gli interessi dei mutui dal reddito lordo, spesso superiori al valore di mercato della casa, e dunque hanno crediti e non debiti con il fisco. Ci sono, e qui la gaffe di Romney assume i colori del surreale, milioni di contribuenti salvati dalle norme sui «credito fiscale» volute non da statalisti e «socialisti» alla Obama, ma da Ronald Reagan nel 1981.
Dunque Romney non ha insultato gli elettori degli altri, ha offeso i propri, potenziali simpatizzanti. Lo ha fatto per lanciare un osso a quella destra del Tea Party, dell’anti-statalismo più idrofobo e classista, che non lo ha mai digerito, e per lisciare i conti correnti di quell’un per cento che da solo non vince le elezioni, ma ha i soldi, e l’odio, per lubrificare il cammino del proprio alfiere. E’ proprio lui la migliore speranza di un Obama che ora comincia addirittura a raccogliere più finanziamenti di quanti Romney raccatti. Ma questo, come ha osservato il Nobel Paul Krugman commentato lo sketch di Clint Eastwood al congresso che ha incoronato Romney, è il tragico partito repubblicano di oggi: «Un partito di vecchi che parlano da soli a una sedia vuota».

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