“La cooperazione che vogliamo”. Né parolaia, né inconcludente
Trattasi di un percorso cominciato il 1° marzo 2012 insieme al Forum del Terzo Settore ed altre organizzazioni della società civile, non esente da problemi e interrogativi su passato, presente e futuro. Lo scontro tra il Ministero degli Affari Esteri (MAE) ed il ministero della Cooperazione su fondi e competenze non aiuta certo “la cooperazione ad acquisire un ruolo politico centrale e permanente nella politica internazionale dell’Italia”. Anzi, si può dire, che lo scontro ne facilita la scomparsa.
Andiamo al dunque. A che serve un ministero senza effettivo potere decisionale e soprattutto senza risorse? I numeri parlano chiaro e mostrano una diminuzione degli stanziamenti per la cooperazione gestiti dal MAE addirittura dell’88% in soli quattro anni (per la precisione dai 732 milioni di euro del 2008 ai 179 milioni nel 2011, agli 86 milioni nel 2012). Ciò significa, nei paesi oltremare, aver mandato a casa infermieri, medici ed insegnanti ed aver pagato fior fiore di penali in contratti non onorati facendo fare all’Italia una figura coerente con il bunga bunga.
Il confronto con l’Europa è impietoso. A nord gli stanziamenti sono superiori allo 0,40% del PIL, in Italia scende al di sotto dello 0,15%. Per non parlare poi delle poche risorse messe a disposizione, circa 3 miliardi di euro l’anno, che comunque “vengono spese male, senza una vera intenzionalità politica”.
L’obiettivo primario del documento creato dall’Associazione Ong Italiane (Aoi), dal Coordinamento Italiano Network Internazionali (Cini) e Link 2007 è di rimettere la cooperazione al centro dell’ agenda politica e di cambiare la mentalità secondo cui la cooperazione sarebbe un lusso, la prima sacrificabile in tempi di crisi come questi. Dopotutto, nella sua storia e cultura politica l’Italia non ha la pretesa di un ruolo egemonico, né sul piano politico né tanto meno su quello militare. Ed ecco che la cooperazione diventa “una necessità per il nostro Paese, in quanto l’unica politica estera per noi possibile”. Parola, quest’ultima, del sottosegretario (agli Esteri, attenzione) Marta Dassù.
“La cooperazione è l’ideale nostro modo di essere nel mondo contemporaneo” ha affermato il direttore del Cisp Paolo Dieci, che ha elencato di seguito le priorità di cui bisognerebbe finalmente iniziare a occuparsi con più impegno, tra cui: la coerenza delle politiche, le relazioni di partenariato con i Paesi terzi; l’attenzione rigorosa all’efficacia degli aiuti; la trasparenza e la responsabilità ; la garanzia del finanziamento (e quindi la possibilità per la cooperazione italiana di promuovere programmazioni pluriennali nella relazione di partenariato con i Paesi su basi non provvisorie); l’affermazione della professionalità come impegno deontologico, etico, politico, anche nel rapporto con l’opinione pubblica. Le ong chiedono una cooperazione più al passo con il processo di integrazione europea e una presenza più incisiva delle istituzioni e della società civile nella definizione delle scelte della politica allo sviluppo, sempre a livello europeo.
Se le proposte del documento vorrebbero essere un punto di partenza da discutere e condividere, l’opinione preponderante è che questo sia comunque il momento giusto per concretizzare il progetto di riforma della legge 49/87 sulla cooperazione internazionale, la cui discussione si sta protraendo ormai da troppo tempo. Ora il parlamento ha imposto un’accelerazione sulla sua approvazione, ma alcune priorità , secondo le ong, non sono state ancora prese in considerazione. In particolar modo la necessità di un alto riferimento politico dedicato alla cooperazione alla luce dell’esperienza “poco felice” del ministero di Riccardi. Le non governative vogliono una guida politica certa e autorevole e pensano a un viceministro con delega piena in materia e facoltà di partecipazione al consiglio dei ministri. Il consigliere del ministero per la Cooperazione Mario Giro, presente all’incontro, ha subito messo in guardia sul fatto che “un vice ministro non avrebbe comunque questa facoltà ” smontando la prima richiesta.
La seconda richiesta è plurima: creazione di un comitato interministeriale; istituzione di un fondo unico che unifichi e dia coerenza ai diversi capitoli di spesa; un’agenzia attuativa (la famosa Agenzia italiana per la cooperazione) allo scopo di garantire le necessarie competenze per la direzione, il governo, il monitoraggio e la valutazione delle azioni intraprese.
“Partire da una spinta dal basso verso l’acquisizione di una visione globale e di qualità della cooperazione” è la linea da intraprendere per il presidente del Forum del Terzo Settore Andrea Olivero. Opinione condivisa dal relatore del Ddl sulla cooperazione Giorgio Tonini, secondo cui il dirigismo statale non è auspicabile al mondo della cooperazione italiana, che lavora soprattutto “attraverso il collettivo, a partire da territori e società civile”. Eppure proprio la realtà del partenariato e degli enti locali è ciò che mancherebbe secondo il responsabile del Dipartimento politiche comunitarie dell’Anci, Victor Magiar: “Il documento è troppo incentrato sulle Ong e la cooperazione internazionale è una realtà fluida e promiscua che comprende il legame tra università , tra le scuole, tra gli enti locali. Se questa legge ci esclude, allora non ci interessa!”. Dal canto loro i sindacati unitari hanno condiviso il documento ma stanno lavorando ad uno proprio da presentare al forum di Milano. Qualche critica arriva anche da Donato di Gaetano di Confindustria, secondo cui, al contrario, nella cooperazione mancherebbe proprio un coordinamento forte tra le varie istituzioni.
Certo a un incontro che si propone di mettere la cooperazione internazionale al centro dell’agenda politica non potevano mancare i rappresentanti dei partiti che quella riforma la dovranno votare. E che quasi vedono in questo governo “tecnico” l’ultima occasione per arrivare finalmente a un accordo su una (possibile) buona legge capace di mettere d’accordo le diverse anime del parlamento. Il problema sembrerebbe invece essere il governo. “Il ministero degli Esteri ha trattato male la Cooperazione tagliando i fondi in modo unidirezionale” ha tuonato più volte Mario Giro, mentre il sottosegretario MAE Marta Dassù auspica per il futuro la creazione di un ministero degli Esteri e della Cooperazione internazionale, con un’attenzione particolare per i Paesi del Mediterraneo e del Nord Africa. “Dall’anno prossimo aumenteremo del 16,5% i fondi per la cooperazione” ha annunciato, come a voler indicare un primo cambiamento di rotta.
Conclusione. Non se ne farà nulla. Le Ong chiedono una guida politica più forte per chiudere la legge. Punto. Il Ministro, dalle pagine di Avvenire, auspica un “raccordo operativo e gestionale con tutti i principali attori della cooperazione – amministrazioni centrali, locali, società civile”. Insomma, un “si” a riaprire la discussione. La palla passa quindi a Milano… sperando sia francamente l’ultima tappa di un calvario parolaio ed inconcludente che ci ha fatto vergognare non poco oltreconfine.
Related Articles
Piano casa per la riforma di Imu, Tares e affitti
L’ipotesi di rinviare la rata anche per le imprese. Spunta la tassa sulla sigaretta elettronica
Stiglitz e l’austerità suicida
Ascoltare il dibattito tra Monti e Stiglitz è stato emozionante. Potenti le cannonate dell’economista americano, che lasciano basita una platea abituata allo slang triste europeo.
La marmellata dei diritti
Chissà se è stata veramente detta l’ultima parola. Per ora, si sa che, sulla riforma del lavoro, le cose hanno preso la piega che il governo voleva sin dall’inizio. Il suo obiettivo era quello di restituire all’impresa la libertà di gestire la manodopera che le aveva tolto la prima legge in materia di licenziamento entrata in vigore nel luglio del 1966 malgrado l’aperto dissenso della Cisl e dei suoi parlamentari.