La commedia tedesca
MA L’ATTESA è troppo forte, e la posta in gioco, forse anche in termini di concreti investimenti dei traders, è troppo alta. Così si scatena il carosello delle voci e dei «sentito dire» che alimenta le speranze e la paure dei mercati. Prima esce l’agenzia finanziaria Bloomberg, citando due non identificati «funzionari» della Banca centrale europea, per annunciare che Draghi ha intenzione di lanciare acquisti di bond «illimitati», sterilizzando però l’intervento sul mercato secondario per non aumentare la massa monetaria. In altre parole, riassorbirà la stessa quantità di denaro che metterà in circolazione per comprare i buoni del tesoro dei Paesi il cui spread rende inefficace la trasmissione della politica monetaria. Poco dopo arriva la replica tedesca, affidata ad un oscuro deputato Norbert Barthle reduce da una riunione con la cancelliera. Secondo l’esponente della Cdu, la Merkel sarebbe disposta ad accettare un intervento della Bce sul mercato secondario, «ma temporaneo e non illimitato », perché altrimenti diventerebbe uno strumento di politica di bilancio «che non rientra nel mandato » dell’istituto di Francoforte.
Siamo di fronte, come forse piacerebbe a molti, ad un ennesimo
scontro tra le formiche del Nord, capitanate dalla cancelliera, e le cicale del Sud, per l’occasione impersonate da un Draghi quanto mai improbabile in quel ruolo? Naturalmente no. La strategia che la Bce renderà pubblica domani sarà coerente con le decisioni di agosto, che già avevano ricevuto l’approvazione della Merkel.
Tutto il resto fa parte del teatrino della politica tedesca, che purtroppo si è ormai trasformato in psicodramma
europeo. Gli interventi che la Banca centrale si è resa disponibile a fare, sempre a condizione che i Paesi interessati facciano ricorso al Fondo salva stati Esm e sottoscrivano impegni precisi sulle politiche di risanamento, hanno un duplice obiettivo. Il primo è dimostrare ai mercati che qualsiasi speculazione sulla sopravvivenza della moneta unica è inutile, «perché l’euro è irreversibile ». Il secondo è ridurre gli spread in modo che le decisioni di Francoforte sui tassi direttori, che sono il principale strumento di politica monetaria, si riflettano sul costo effettivo del denaro in ogni Paese.
Per raggiungere questi due risultati, Draghi non ha evidentemente bisogno di mobilitare risorse illimitate, né di mantenere la politica di intervento a tempo indefinito. Tuttavia è altrettanto evidente che, se la Bce ponesse preventivamente un tetto alle proprie capacità di intervento, o un limite temporale alla politica di acquisti, vanificherebbe in partenza i risultati che intende ottenere e anzi accenderebbe una nuova ondata speculativa tesa a testare i limiti che si è auto-imposta.
Per questo motivo, già a luglio, Draghi aveva annunciato che la Banca centrale farà «tutto il necessario » per difendere l’euro, senza annunciare limiti quantitativi o temporali, ed evidentemente senza comunicare quali saranno le soglie di intervento che faranno scattare gli acquisti, o i differenziali sui tassi che si pone come obiettivo di ottenere.
E’ ormai chiaro che la Merkel ha accettato questi principi, perché solo la manovra della Bce consentirà alla politica europea di guadagnare il tempo di cui ha bisogno per mettere in piedi le strutture di una unione bancaria e di una unione di bilancio che possano mettere fine alla speculazione. Ma, poiché la questione è assai spinosa sul fronte politico interno tedesco, la cancelliera e il suo governo si trincerano dietro la formula del «rispetto del mandato» da parte di Draghi. Un mandato che Berlino ha già implicitamente detto di considerare rispettato.
Lo stesso comportamento ambiguo della cancelliera vale per la proteste del falco Jens Weidmann, presidente della Bundesbank, l’unico nel Consiglio della Bce ad essere contrario agli acquisti di bond per calmierare gli spread. La Merkel, che ha già incassato le dimissione di un presidente della banca di stato e di un membro tedesco nel board della Bce, non può permettersi politicamente di rompere con Weidmann ad un anno dalle elezioni. E dunque non perde occasione per regalargli grandi dichiarazioni di sostegno. Ma, nei fatti, ha ampiamente dimostrato di stare dalla parte di Draghi.
Una ipocrisia molto democristiana, che ieri il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schauble, ha perfettamente riassunto così: «Non vedo alcun conflitto tra le posizioni di Draghi e quelle di Weidmann. Ma naturalmente, se lo vedessi, non ne parlerei».
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