by Sergio Segio | 25 Settembre 2012 7:44
KABUL. Kabul e Pechino si avvicinano sempre di più. In vista del ritiro delle forze Isaf-Nato, previsto per la fine del 2014, la Cina cerca di espandere la sua influenza sull’Afghanistan. Dopo essersi assicurata un paio di importanti contratti per l’estrazione di petrolio e di metalli preziosi, la Cina prova a puntellare la sua presenza anche dal punto di vista politico e diplomatico. La visita a sorpresa a Kabul, sabato e domenica, di Zhou Yongkang, a capo della sicurezza interna cinese, segnala il crescente interesse per l’Afghanistan. Già a giugno scorso, al vertice dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (Sco) riunito a Pechino, i due paesi avevano cominciato a discutere un eventuale accordo di partenariato strategico di lunga durata.
Domenica a Kabul è stato firmato un «Piano d’azione» per trasformare le promesse di allora in un documento che presto diventerà vincolante. Intanto la Cina si è impegnata, con un memorandum siglato con il ministero afghano delle finanze, a fornire al governo locale 150 milioni di dollari in aiuti alla ricostruzione e in assistenza tecnico-economica, oltre che ad addestrare la polizia afghana. Secondo quanto riporta la Bbc, saranno 300 gli alti ufficiali della polizia che nei prossimo quattro anni si recheranno in Cina per seguire corsi di formazione. Al di là degli accordi sottoscritti, la visita di Zhou Yongkang, membro del Politburo del Partito comunista, è stata particolarmente ben accolta: il sostegno economico della comunità internazionale – ribadito nel corso del vertice di Tokyo dello scorso luglio – non è destinato a durare a lungo, e Kabul è in cerca di partner più affidabili degli occidentali, sempre pronti a criticare Karzai per la corruzione e l’inefficienza del sistema istituzionale.
Anche se in modo indiretto, Zhou Yongkang ha voluto marcare la distanza rispetto all’atteggiamento tenuto dai pesi del blocco euro-atlantico. La Cina parteciperà in modo attivo alla ricostruzione del paese, ma rispettando il «diritto della popolazione afghana a determinare il proprio percorso di sviluppo», così ha dichiarato l’alto ufficiale all’agenzia Xinhua. Durante l’incontro, il presidente afghano Hamid Karzai ha ricordato l’importanza dei buoni rapporti con la Cina, e più in generale con i paesi della regione, per la stabilizzazione dell’Afghanistan. Ma è stato il ministro delle Miniere, Wahidullah Shahrani, a dire chiaro e tondo perché Kabul considera essenziale un maggior coinvolgimento del dragone cinese: «Gli investimenti della Cina sono estremamente importanti», ha sostenuto; «la Cina ha investito nella miniera di rame di Aynak e in molte altre miniere afghane». E proprio il settore minerario è quello su cui più punta il governo afghano per superare la dipendenza dagli aiuti internazionali. Secondo le stime del ministero delle miniere di Kabul, nel sottosuolo afghano di nasconderebbe un patrimonio minerario equivalente a 3 trilioni di dollari. La Cina, che deve alimentare una eccezionale crescita economica a colpi di materie prime, è stata tra i primi a interessarsene: il 20 novembre 2007 il gigante statale China Metallurgical Group si è aggiudicato il diritto esclusivo di estrarre rame dalla miniera di Aynak, 40 chilometri a sud della capitale, nella provincia di Logar, per 3 miliardi e mezzo di dollari (con un consorzio di cui detiene il 75%, mentre il 25% fa capo all’azienda privata Jiangxi Copper Company Limited, Jccl). A giugno scorso la China National Petroleum Corporation ha iniziato invece i lavori per l’esplorazione di tre bacini petroliferi dell’Amu Darya, nelle province settentrionali di Sar-e-Pul e Faryab, dove si stima ci siano 87 milioni di barili di petrolio.
Per ora, le cose non vanno come dovrebbero: ad Aynak le ruspe cinesi sono ferme per permettere agli archeologi afghani e internazionali di compiere le ricerche – ancora per poco – su un sito buddhista di straordinaria importanza. Inoltre, solo due settimane fa alcuni lavoratori cinesi sono stati evacuati da Aynak per ragioni di sicurezza, troppi gli attacchi subiti nelle ultime settimane. A Kabul i maligni dicono che dietro quegli attacchi ci sia anche la mano degli americani, che non apprezzano il protagonismo del dragone cinese in Afghanistan.
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