by Sergio Segio | 11 Settembre 2012 6:29
Ilva, Alcoa, Carbosulcis: nel quinto anno della crisi, i nomi che ricorrono sulle prime pagine ci riportano alle conseguenze concrete di ciò che accade sui mercati, di ciò che viene deciso nei vertici intergovernativi, delle scelte di un governo asservito alle logiche del neoliberismo. In questo contesto, costruire un percorso referendario condiviso e partecipato per la libertà e la dignità del lavoro significa rimettere al centro di un dibattito pubblico affollato di schieramenti e personalismi la concretezza materiale della vita quotidiana delle persone, e indicare un orizzonte realistico e credibile di cambiamento, una battaglia di resistenza all’austerity che possiamo vincere. Proprio per questo, è fondamentale non perdere l’occasione perché questa battaglia possa essere sentita come propria da tutti i lavoratori, superando divisioni tra precari e “garantiti” che la crisi ha già spazzato via. Nessuno è più garantito e le due norme oggetto di referendum estendono anche al lavoro tradizionale il ricatto della precarietà , cifra identitaria di un’intera generazione. Il livellamento verso il basso delle condizioni di vita porta settori sempre più ampi a subire ciò che è stato sperimentato sui lavoratori del sud del mondo, migranti, giovani precari: l’obbligo all’obbedienza, a chinare la testa, non parlare con i colleghi per migliorare la condizione comune, se non si vuole perdere il posto. Siamo stati attaccati tutti, dobbiamo rispondere insieme. Abbiamo passato già troppi mesi a vedere agitati i diritti dei giovani precari contro quelli dei presunti garantiti, con un arretramento su entrambi i fronti. La tendenza va invertita, recuperando lo spirito che ha fatto scendere in piazza studenti e precari con i metalmeccanici della Fiom il 16 ottobre 2010 e arricchendo il percorso referendario con un punto di vista precario e generazionale. La battaglia per la riconquista del contratto nazionale e della tutela dal licenziamento può essere vinta solo se ci si pone l’obiettivo di riconquistarli per tutto il lavoro subordinato, a prescindere da tipologia e durata del contratto, cancellando la schiavitù della precarietà , rivendicando la costruzione di un nuovo welfare universale per liberarci dal ricatto occupazionale e fermare il dumping di salari e diritti. Cancellare la precarietà e costruire un nuovo welfare sono i presupposti per l’emancipazione della nostra generazione e la costruzione di proposte per il futuro. Sono le basi materiali dell’Italia di domani, ciò che ci serve per non essere costretti a emigrare, invertire la rotta del declino e restare qui a ricostruire il nostro paese, mettendo saperi ed energie al servizio di un grande progetto di trasformazione in senso democratico e ambientale della società , della politica e dell’economia. Per farlo serve l’impegno di tutti, con storie e strumenti diversi: soggetti sociali e politici, movimenti e associazioni, studenti e lavoratori, che portino nelle piazze e nei banchetti referendari una proposta che riunisca il lavoro e ci liberi dalla precarietà .
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