India, arrivano le multinazionali esplode la rivolta delle botteghe

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La prima novità  è che l’annuncio giunge assieme all’aumento del prezzo del diesel di 14 rupie per litro, un prodotto finora super-calmierato, mentre l’inflazione galoppa già  al di sopra del 10 per cento. La seconda è che il governo ha deciso di andare avanti con la riforma del commercio al dettaglio auspicata dalle multinazionali, anche se rischia di veder frantumata la sua coalizione e di rafforzare il peso dei sindacati scesi in piazza con le opposizioni. Sullo sfondo, milioni di titolari dei piccoli negozi e le loro famiglie, che formano lo scheletro della rete commerciale di tutto il Continente, temono di venire spazzati via da giganti come Walmart e Tesco, già  pronti a fare il loro ingresso a prezzi competitivi e con distribuzione capillare.
Finora le grandi catene straniere e nazionali si limitavano a fornire prodotti e partecipare a joint venture, ma senza poter vendere direttamente al pubblico. Ora che il via libera al mercato al dettaglio sembra certo per colossi alimentari e non – inizialmente nelle sole città  sopra il milione di abitanti – oltre 55 milioni di piccoli commercianti rischieranno di perdere buona parte della clientela, affezionata ai piccoli empori di quartiere chiamati kirana. Queste sono le stime del partito di opposizione Bharatiya Janata Party (Bjp) che ha guidato la protesta in molte città  ieri paralizzate, come la tecnologica Bangalore, dove buona parte dei dipendenti delle grandi compagnie di software ha ricevuto l’ordine di lavorare da casa.
Ma anche a Calcutta quasi tutte le saracinesche sono rimaste abbassate e i pochi autobus in servizio danneggiati da folle inferocite, mentre il capo ministro dello Stato Mamata Banerjee confermava di voler ritirare domani i suoi sei ministri, in protesta per entrambe le decisioni sui supermercati e l’aumento del diesel. Anche un altro importante partito alleato, al governo nello Stato indiano più popoloso dell’Uttar Pradesh, è sceso in piazza contro il governo, mentre proteste e cortei con carretti tirati da buoi e bufali hanno attraversato Patna nel poverissimo Bihar, dove i treni sono rimasti fermi.
Sebbene la protesta non abbia creato troppe conseguenze in grandi città  come Delhi e Mumbai, altrove il partito fondamentalista del Bjp ha cercato di incassare ulteriori consensi dopo le sue battaglie in Parlamento contro la corruzione e in particolare per lo scandalo delle concessioni di favore alle compagnie minerarie del carbone autorizzate direttamente dal premier Singh. Sul fronte della campagna anti-multinazionali, un deputato del Bjp, Murli Manohar Joshi, ha sostenuto che le licenze alle grosse compagnie di distribuzione «significheranno l’ingresso dei prodotti cinesi in India attraverso la porta di servizio», visto che «gran parte dei prodotti Walmart provengono da società  cinesi e non beneficeranno gli indiani».
Le camere di commercio, tra le più soddisfatte della decisione governativa, calcolano che in ogni caso il mercato indiano al dettaglio (che vede oggi i supermercati appena al 5 per cento del giro d’affari) entro il 2020 supererà  i 1300 miliardi, molto più del doppio di quello attuale (500 miliardi) grazie al maggiore benessere di una crescente classe media. Va da sé che questa rivoluzione statistica e di costume sarà  guidata dalle catene di distribuzione ormai vicinissime alla meta della vendita diretta agognata fin dall’inizio degli anni ‘90, quando l’India avvi le prime grandi aperture economiche internazionali proprio con Manmohan Singh ministro delle Finanze.
Bisognerà  aspettare però le elezioni del 2014, salvo sconvolgimenti imprevedibili, per sapere se le riforme si trasformeranno in consenso. Cosa della quale molti cominciano a dubitare. Per ora, solo 9 dei 28 Stati del Paese hanno detto di voler garantire le autorizzazioni ai grandi supermercati.


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