Imprigionate nella fabbrica in fiamme

by Sergio Segio | 13 Settembre 2012 6:25

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Con pochissimo rilievo sui media nazionali e persino su quelli locali moscoviti è passata tra ieri e oggi la notizia della morte di 14 persone nell’incendio di un piccolo laboratorio di confezioni a Egorevsk, nella regione di Mosca.
Un incendio stupido, provocato dal corto circuito di un vecchio e malandato impianto elettrico; un incendio neanche tanto violento, localizzato in un’area di soli 30 metri quadri in un piccolo e vecchio edificio: peccato che porte e finestre fossero sbarrate dall’esterno, così che i lavoratori che si trovavano dentro non hanno avuto scampo e, nel pur breve tempo che i pompieri hanno impiegato ad arrivare e a spegnere le fiamme, sono morti tutti – tranne uno, ricoverato con gravi sintomi da intossicazione e ustioni. Un tragico classico del lavoro schiavistico, come nel caso dell’incendio che nelle stesse ore in Pakistan si è preso oltre cento vittime tra i lavoratori rinchiusi nella fabbrica andata a fuoco: il modello è sempre quello di New York 1911, l’incendio della fabbrica tessile dove morirono 146 lavoratrici immigrate chiuse a chiave nell’edificio in fiamme.
Anche a Egorevsk sono morti degli immigrati: tutte le vittime erano vietnamite, immigrate illegalmente e senza permesso di lavoro. Tutte donne, a quanto si intuisce dagli scarni resoconti, ma nelle notizie diffuse si parla solo genericamente di «persone». Altre 60 donne (queste chiaramente indicate come tali), pure vietnamite e pure senza permesso di soggiorno né di lavoro, vivevano in una specie di magazzino lì accanto e costituivano insieme alle vittime l’insieme dei turni della piccola azienda: cucivano abiti, 24 ore su 24, senza potersi allontanare dal luogo di lavoro. La polizia, giunta sul posto insieme ai pompieri, non ha trovato di meglio da fare che arrestarle tutte. E’ facile immaginare, anche se nessuno farà  denuncia, che gli verrà  sequestrato tutto quel che possiedono, a partire dai quattro rubli di paga ricevuti (se li hanno ricevuti) dal padrone del laboratorio. Il quale è stato sì denunciato, ma non per strage – come sarebbe il caso, visto che è stato lui a chiudere dall’esterno tutte le uscite condannando così a morte gli schiavi che stavano all’interno – bensì solo per non osservanza delle norme di sicurezza.
Tutto normale, in un regime di capitalismo sorgente come in Russia. Tanto normale che nemmeno giornali e tv hanno pensato di dare più di una breve notizia della vicenda.

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