Ilva, lo sciopero spacca sindacati e lavoratori

by Sergio Segio | 28 Settembre 2012 7:04

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TARANTO — «Non siamo burattini », «Siete ambigui», «Sono i capi di Ilva, foraggiati dall’azienda, a stringere d’assedio le strade ». Ancora: «Buffoni». La replica: «Venduti». È tutti contro tutti, all’ombra del siderurgico più grande d’Europa. Operai, sindacalisti… Le barricate tirate su alla meno peggio lungo le due statali, quelle per Bari e Reggio Calabria, dopo che il gip Patrizia Todisco ha rispedito al mittente il piano di risanamento presentato da Ilva e insistito sulla necessità  di spegnere i sei impianti sequestrati un paio di mesi fa perché inquinano e basta, fanno da cornice al braccio di ferro tra lavoratori. Tutti vogliono che la fabbrica non chiuda i battenti, ma nessuno sa bene qual è la via migliore da percorrere perché non accada l’irreparabile. E perciò litigano. Nemmeno il vescovo di Taranto, monsignor Filippo Santoro, che abbraccia tre operai scesi da Afo5, l’altoforno condannato a essere smantellato, ma che come stanno le cose garantisce il cinquanta per cento della produzione, sì, insomma, nemmeno le parole dell’alto prelato riescono a placare gli animi: «Fate sentire la vostra voce, ma evitate proteste estreme». Non c’è nulla da fare. Fim Cisl e Uilm organizzano lo sciopero, uno sciopero «di scarso successo » spiega il segretario di Fiom
Cgil Maurizio Landini, accusato di essere «un crumiro». Ma lo stesso Landini non abbocca a quella che suona come una provocazione e annuncia «per la settimana prossima» un’assemblea all’interno dei reparti «perché noi siamo per unire i lavoratori, vogliamo metterli nella condizione di discutere». Nel frattempo rispunta l’Apecar dei Lavoratori liberi e pensanti, quelli che «non abbiamo partiti né padroni». Predicano l’esigenza di «bloccare la produzione di acciaio, non la città ». Raccontano Aldo Ranieri e Massimo Battista, i due “padri costituenti” di questo movimento salito sugli scudi ad agosto: «Per quanto ci riguarda occupiamo i varchi, quelli da dove devono entrare nello stabilimento le materie prime. Quelli alle dipendenze dei Riva, invece, li sentite alzare la voce in mezzo alla strada e poi arrivano i furgoni dell’azienda che dispensano cestini con cibo e bevande perché siano rifocillati… ».
Nuovi blocchi stradali sono previsti per oggi. Tra i lavoratori c’è diffidenza. Mormora il segretario provinciale della Uilm Antonio Talò: «Se vogliamo difendere i posti di lavoro, in qualche modo dobbiamo farci sentire. Questo significa essere azienda-listi? Allora, sì, io sono aziendalista ». La verità , aggiunge Davide Nettis, 46 anni, impiegato in una ditta dell’indotto, la Peynari di Torino, costruzione impianti industriali, è che «la Uilm è come la Juventus, vince sempre e tutti quanti gli altri vogliono metterle i bastoni fra le ruote». Francesco Colace, 40 anni, «sono uno spazzino dell’Ilva giacché mi occupo
dei rottami ferrosi», lo sguardo scuro in volto: «Avete 3mila 400 iscritti, ma vedrete che adesso vi stracceranno in faccia le tessere sindacali».
Questa è l’aria che tira, non delle migliori. Fumi bianchi e densi intanto continuano ad uscire dalle ciminiere, come se nulla fosse accaduto. È l’ennesimo paradosso del caso Ilva: luglio lo stop alla cosiddetta area a caldo risale ormai alla fine di luglio, ma la fabbrica continua a funzionare. Pare che non sarà  più così solo a partire dalla fine di novembre: mettere in ginocchio un’acciaieria non è come girare l’interruttore della corrente elettrica. «Io una soluzione ce l’avrei» suggerisce Fabrizio Sammarco, 33 anni, del reparto ripristino mezzi: «I magistrati prendano i quattrini alla famiglia Riva e faccciano iniziare i lavori di risanamento. Non si tratta di essere tifosi o nemici dei giudici. Il problema è che l’ottanta per cento di noi ha mutui da pagare sulle spalle. Non possiamo permetterci di incrociare le braccia».

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