by Sergio Segio | 28 Settembre 2012 6:41
In undici mesi scarsi, il governo Monti ha fatto molto per rimediare a un’immagine internazionale disastrata. Ma rimane assai arduo dimostrare a un osservatore straniero quale sia il vero volto del Paese: la serietà e l’operosità o lo scialo e la corruzione? Noi siamo convinti che il primo aspetto sia assolutamente prevalente sul secondo, escrescenza di abitudini miserabili, purtroppo trasversali e non solo della politica. E che l’Italia perbene stia pagando un prezzo elevatissimo. Ma il nostro amico straniero non si capacita del perché una legge contro la corruzione tardi ad essere approvata, non si spiega come ci si possa dimettere e firmare delle nomine il giorno dopo, rafforzando il sospetto che passati gli scandali tornino vecchie e inconfessabili abitudini. Sui circuiti internazionali hanno avuto più successo (ahinoi!) le immagini del corpulento Fiorito (che si ricandida) di quelle dello stesso Monti impegnato a spiegare i sacrifici degli italiani. Rischiamo di tenerci una pessima legge elettorale (il cui nome Porcellum ora richiama anche recenti feste pagane). Non abbiamo una normativa moderna per la trasparenza degli affari e Angel Gurria dell’Ocse ci ha cortesemente richiamato, nel suo ottimo italiano, a vergognarci di essere la pecora nera dell’Occidente.
La tela delle riforme (conoscendo moderni Ulisse lasciamo stare Penelope) intessuta con fatica e qualche errore dal governo tecnico, rischia di essere strappata dall’irresistibile demagogia di ogni campagna elettorale. Nel frattempo lo spread torna a salire e la spiegazione che sia tutta colpa della Spagna è pericolosamente consolatoria. Se Madrid dovesse chiedere gli aiuti, l’attenzione dei mercati si riverserebbe su di noi, trovandoci impreparati e distratti.
Il tempo zero della politica è la peggiore risposta che si possa dare ai mercati. Dà l’impressione che l’enorme sforzo di risanamento fin qui compiuto, pagato soprattutto dalle famiglie e dal ceto medio, sia frutto di episodiche virtù. E avvalora la convinzione che dopo l’aprile del 2013 tutto possa tornare come prima. È comprensibile che la politica rivendichi il proprio ruolo, essenziale in una democrazia compiuta, e si ribelli all’ipotesi di commissariamento. Ma nell’ignavia del tempo zero si avvicina il momento in cui il Paese sarà costretto a chiedere l’aiuto europeo o a sottoporsi a un programma del Fondo monetario con una resa poco onorevole. Lo spazio per evitare questo scenario, considerato inevitabile da molti, che svilirebbe il voto e darebbe fiato all’antipolitica e al qualunquismo, è assai limitato. Avrebbe invece un suo particolare significato — specie dopo la disponibilità ad esserci, se necessario, espressa ieri da Monti — una sorta di patto pre-elettorale tra le principali forze politiche (che non significa precostituire alcuna grande coalizione), sulla condivisione delle regole del gioco, a cominciare dalla legge elettorale, la conferma del percorso di risanamento, la moralizzazione della politica e la riduzione dei suoi costi. A condizione che non resti, come altri solenni impegni, desolante lettera morta.
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