Il silenzioso eroismo della virgola

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Da qualche anno va di moda lamentarsi dello stato della lingua italiana, data per malata o addirittura per morta. Uno degli argomenti più amati da chi partecipa alle commemorazioni funebri di una lingua che in realtà  è ancora vivissima riguarda le sorti della punteggiatura. A seconda dei casi vengono individuati colpevoli diversi del suo cattivo uso, che sono, di volta in volta, la scuola, gli sms, i blog, i tweet, gli scrittori, i giornalisti e via dicendo. Secondo questo luogo comune, nessuno ormai saprebbe più sistemare al posto giusto punti, virgole e altri segni d’interpunzione, rispetto a un passato in cui tutti avrebbero seminato perfettamente quei segnetti tra le parole.
A fare chiarezza sulla questione ci ha pensato, per fortuna, Francesca Serafini nel suo Questo è il punto. Istruzioni per l’uso della punteggiatura (Laterza, pp. 138, euro 15). Non si tratta, come qualcuno potrebbe immaginare, del solito testo accademico illeggibile, fitto di note e di riferimenti dotti, e neppure di un manualetto divulgativo usa e getta. Si tratta di un libro che per la prima volta prende in considerazione il problema da un’ottica diversa, nel quale l’autrice dichiara preliminarmente di voler andare «oltre le concezioni della punteggiatura del passato, per abbracciare nella trattazione un’ottica dichiaratamente contemporanea che possa essere d’aiuto nella pratica». Scelta insolita e nuova, per la quale Francesca Serafini ha il coraggio di «sbarazzarsi di tutto quello che un tempo era regola e oggi è fuorviante».
L’autrice parte da una giusta considerazione: per trovare regole e indicazioni sicure sulla punteggiatura basterebbe, in fondo, rivolgersi ai grammatici. E prova a farlo. Ma qui nascono i primi problemi: una ricognizione tra testi grammaticali antichi e moderni non serve a chiarire le idee. Dei grammatici, lo sappiamo, non ci si può fidare troppo, perché non prescrivono mai, preferiscono descrivere, e alcuni di loro arrivano perfino a dichiarare che: «non ci sono regole che dicano in modo netto e sempre valido quando si deve usare un segno d’interpunzione piuttosto che un altro».
Ecco allora che Serafini costruisce per i lettori una «guida in forma di glossario». Per ogni segno vengono date tutte le informazioni e i consigli utili per il suo uso, ma soprattutto se ne ricostruisce una sorta di identikit, che aiuta il lettore a osservare la punteggiatura con occhi diversi, e sicuramente divertiti. Solo per fare qualche esempio: il punto e virgola può essere considerato l’Highlander della punteggiatura, perché ciclicamente qualcuno ne lamenta l’agonia sulle pagine dei giornali, mentre la virgola è «il segno interpuntivo più femminile di tutti, perché, come le donne, si fa carico dell’ordinario (mandare avanti il discorso) e dello straordinario (quando svolge altre funzioni, come negli incisi, per esempio), senza mai prendersi la scena».
Non solo: per documentare l’uso della punteggiatura l’autrice attinge a un serbatoio vastissimo di citazioni: dagli scritti di impettiti accademici dell’Italia fascista come Alfredo Panzini e Ugo Ojetti ai testi di Topolino, da Luciana Littizzetto a Daniele Luttazzi, con una scelta larghissima di brani di narratori contemporanei come Sandro Veronesi, Giordano Meacci, Giorgio Vasta, Nicola Lagioia, Michele Mari. Il libro è ricchissimo di brani che mostrano l’uso personale della punteggiatura in autori celebri: da Foscolo che ricorreva a usi inediti per l’epoca, per esempio la lineetta in funzione espressiva, prima o dopo interiezioni o frasi vocative, o per segnalare un brusco cambio di progetto nella sintassi, a Leopardi, molto attento nell’uso della punteggiatura, che al contrario rifiutava qualunque forma di trattino o di lineetta, a Manzoni che nella redazione finale dei Promessi Sposi ricorreva a una punteggiatura più estesa, con un’abbondanza soprattutto di virgole, fino alle soluzioni più ardite di Carducci, che in qualche caso eliminava del tutto le virgole, o di Carlo Dossi, che propose senza successo di anticipare nelle esclamazioni e nelle interrogative il segno rovesciato, come avviene nello spagnolo. Tra i nostri scrittori c’era anche chi, come D’Annunzio, si serviva in modo del tutto personale degli accenti e degli spazi bianchi, chi come Marinetti sosteneva l’abolizione totale della punteggiatura, considerando assurde «le soste delle virgole e dei punti», o chi, come Ungaretti, dopo aver realizzato in alcuni componimenti la totale dissoluzione della punteggiatura, tornò poi a servirsene in abbondanza.
Rispetto a questi esempi famosi di «ribellione autoriale», le scelte di molti degli scrittori contemporanei di più largo consumo vanno nella direzione opposta, quella di una lingua attenta alla norma, anche per quanto riguarda la punteggiatura. A un esame ravvicinato e libero da pregiudizi, dunque, qualche luogo comune può essere smontato. Non solo il congiuntivo, come si è ripetuto tante volte, gode sostanzialmente di buona salute, ma anche la punteggiatura. Lo dimostra l’analisi di Francesca Serafini, che può tranquillizzare gli allarmisti: proprio la lettura attenta dei quotidiani dimostra la sopravvivenza di segni «chiacchierati» come il punto e virgola. Non soltanto negli articoli di grandi giornalisti come Eugenio Scalfari e Giuseppe D’Avanzo, ma negli articoli di cronaca dei quotidiani il repertorio completo dei segni interpuntivi, punto e virgola compreso, continua a essere abilmente sfruttato. Questo segno considerato da molti ormai defunto finisce per diventare il simbolo delle sorti della punteggiatura.
Il punto e virgola, concude l’autrice «esiste e lotta insieme a noi», e il nostro sistema interpuntivo è sostanzialmente integro, e rappresenta tuttora «un modello di eleganza formale per chiunque sia davvero intenzionato a imparare a usare questo strumento prezioso». Il libro di Serafini serve proprio a questo.


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