Il nuovo inferno di Scampia

by Sergio Segio | 10 Settembre 2012 7:21

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NAPOLI — «Mo’ succede il grosso,
il peggio arriva adesso», dice Lina, 40 anni, un figlio in galera e un cognato agli arresti domiciliari, prima di infilarsi nel portone di casa. Tre colpi di pistola e un altro cadavere sul terreno hanno riavvolto precipitosamente il nastro, riportando Scampia a Gomorra, alla spirale di odio e violenza della prima faida consegnata alla letteratura e poi al cinema, oltre che alla storia criminale del Paese. «Hanno cominciato ad ammazzare i pezzi pesanti, non si fermeranno più. Adesso mi chiudo dentro e ci resto più a lungo possibile», aggiunge Lina mentre le cronache registrano un nuovo omicidio e aggiornano gli sviluppi dello scontro acceso dall’ultima generazione di malavitosi che vuole prendere il sopravvento sul mercato della droga.
Oggi come otto anni fa, le scissioni fra i clan camorristici non provocano solo agguati, omicidi e aggressioni, ma scatenano vendette e rappresaglie che ricordano le guerre balcaniche, con interi nuclei familiari costretti con la forza a lasciare gli appartamenti dopo il mutamento delle alleanze. Gli amici di sempre che diventano
nemici. Non solo i capifamiglia, ma anche mogli e bambini messi di fronte a scelte di campo che potrebbero pagare con la vita. «Appena posso vado in Comune e provo a chiedere un cambio di alloggio — prosegue Lina — Non mi faccio cacciare, però se ci riesco vado via. Abbiamo paura, ma siamo pure stanchi ». Ha un figlio più piccolo che non ha ancora quattordici anni ed era con lei durante la prima faida, quando si ritrovarono nel mezzo di una sparatoria. «Scappammo via di corsa, con una mano tenevo lui, con l’altra la bicicletta.
Un poliziotto, poco dopo, mi redarguì: “Avete sbagliato a correre, così vi siete esposta al fuoco e avete rischiato di farvi ammazzare insieme al bambino. Dovevate buttarvi con la faccia a terra”». Si impara anche questo, nella periferia dove in questi giorni di guerra fa paura anche la ripresa delle scuole. «E se si sparano quando i ragazzi escono?», si chiede Lina. Le strade in realtà  sono pattugliate come mai nel recente passato, con ben 200 tra poliziotti e carabinieri schierati dopo i rinforzi inviati dal Viminale per chiudere le “piazze di spaccio”, il polmone di un’economia illegale capace di muovere, secondo una recentissima stima del pool anticamorra napoletano, «un volume di affari che va dagli otto milioni ai dodici milioni di euro ogni due mesi» solo con la cocaina. Somme alle quali vanno aggiunti i proventi che derivano dalla vendita di eroina, hashish e marijuana.
La giunta comunale guidata dal sindaco Luigi de Magistris ha messo Scampia in cima alla sua agenda e prepara per fine mese una delibera con una serie di interventi, d’intesa con la Municipalità  e il suo presidente Angelo Pisani, che chiede «una legge speciale» per il quartiere. «Ma in questi anni è mancata soprattutto una strategia», ragiona don Fulvio D’Angelo, che nei giorni tragici della prima faida era in prima linea come parroco della chiesa di piazza Zanardelli e oggi si è spostato solo di qualche chilometro, ad Arzano. Sottolinea don Fulvio: «Ci sono gli omicidi? Arrivano le truppe delle forze dell’ordine, il Comune lancia proposte, i ministri intervengono, giornali e televisioni fanno i loro servizi. Poi, quando l’allarme si placa, finisce tutto e il territorio viene abbandonato a se stesso nonostante l’impegno delle associazioni di volontariato. Non è di questo che hanno bisogno Scampia, Secondigliano, Arzano e le periferie. Non ho visto, in tanto tempo, uno straccio di idea per risanare questa realtà  dal punto di vista economico e sociale. Si continua a ragionare per episodi. Invece servirebbe continuità ».

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