Il no di Camusso peserà  sui rapporti tra il Pd e il premier

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E c’è da chiedersi quanto peserà  questa incomprensione nei rapporti fra il premier e un Pd costretto a tenere conto delle posizioni della Cgil; e fra Pd e Udc, schierata con Monti. Le ironie di ieri del segretario, Pier Luigi Bersani, verso chi sostiene la tesi di un miglioramento della situazione, sembravano indirizzate a palazzo Chigi. «Che termometro si usa?» si è chiesto. «I termometri che uso io sono il lavoro, i consumi della gente normale, gli investimenti. E questi termometri segnano febbre alta».
Si tratta di un malessere che anche Monti vede. Il contrasto riguarda il modo per farlo passare. Il capo del governo addita non una riduzione dei salari ma un cambio di mentalità  delle parti sociali; e chiede loro di trovare un’intesa in grado di aumentare la produttività . La replica è che il governo non può scaricare su imprenditori e sindacati il compito di aiutare la crescita: serve il ruolo attivo di palazzo Chigi. Sono assaggi di un dialogo apparentemente senza sbocco. Né basta a farlo decollare la disponibilità  del ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera, a mettere a disposizione «le poche risorse che ha» se ci sarà  un accordo. Offrire «le poche risorse» significa infatti confermare che l’esecutivo si ritaglia spazi di intervento volutamente limitati.
E fa rotolare di nuovo sugli interlocutori l’esigenza di trovare un compromesso. «Il ministro Passera ci ha detto che non ci sono soldi pubblici e che il governo non può chiedere altri sacrifici alle imprese», hanno riferito fonti sindacali alla fine dei colloqui di ieri. Il presidente del Consiglio avverte che «entro un mese servono segnali concreti»: prima della riunione dell’Eurogruppo e del vertice europeo di ottobre. Fa notare che la produttività  della Grecia è tornata a crescere, al contrario di quella italiana. Eppure, ricordare ai sindacati che l’Ue «ci guarda» non sembra sufficiente a sbloccare la situazione. Palazzo Chigi fotografa una situazione «carica di tensioni e di preoccupazioni». E assicura che ci sarà  «massima attenzione» verso le crisi industriali. Ma riesce ad aprire una breccia solo nella Cisl, per ora.
«Quando il cavallo beve, beve. Quando non vuol bere hai voglia a fischiare. Secondo me in un mese ce la possiamo fare», azzarda Bonanni, «per dimostrare all’Europa che l’Italia sa reagire». Ma la Camusso chiede politiche energetiche, nuove norme sulla legalità  e la corruzione: sostiene che si tratta di fattori che incidono altrettanto sulla produttività . Insomma, rovescia l’impostazione del premier, ma anche della Cisl, lasciando capire che delegare a industriali e confederazioni la via d’uscita è un modo per rinunciare ad agire. È il segno che la Cgil ha deciso di andare allo scontro con Monti, accettato inizialmente perché soppiantava Silvio Berlusconi. E si prepara a tirare la volata ad una coalizione di centrosinistra.


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