Il nazionalismo spinto in Catalogna toglie il sonno a Mariano Rajoy
Queste tre comunità autonome sono «nazionalità storiche» che possedendo ciascuna una lingua e una cultura propria, hanno sempre goduto di uno status speciale nell’ambito dell’architettura costituzionale spagnola, che in quanto frutto dell’impossibile patto fra le forze reazionarie eredi del franchismo e le forze sociali di sinistra, lascia alcuni aspetti chiave della distribuzione dei poteri volutamente nell’ambiguità . L’unica cosa chiara è che, come recita l’articolo 2, «la costituzione si basa sull’indissolubile unità della Nazione spagnola», che però «riconosce e garantisce il diritto all’autonomia delle nazionalità e regioni che la integrano».
Il risultato di questa ambiguità è stato che dal 1978 l’equilibrio di potere fra il governo centrale e le comunità autonome si è andato forgiando secondo il peso politico dei molti attori in campo. L’arrivo di Zapatero, che fece leva proprio su una idea di una Spagna plurale, implicò quello che parve a molti come un taglio netto con l’approccio centralista di Aznar. E si aprì una stagione in cui le comunità che lo hanno desiderato hanno riscritto i propri statuti autonomici. La Catalogna è stata la prima a lanciarsi, cercando di stirare il più possibile le proprie competenze, seguita da altre comunità . Ma il Pp, il partito tradizionalmente più centralista si lanciò in una battaglia all’ultimo sangue, trascinando lo statuto catalano (approvato dal Parlament di Barcellona con ampia maggioranza, dai catalani con un referendum e infine, con qualche modifica che non è mai andata giù ai catalani, dalle Cortes di Madrid a maggioranza in un ricorso al tribunale costituzionale.
Nel frattempo, anche il governo basco, nelle mani di forze nazionaliste, tentò negli stessi anni una manovra simile che però non riuscì, e per la prima volta nella storia spagnola, il governo in Euskadi nel 2009 passò nelle mani di una Grosse Koalition: Psoe con appoggio esterno del Pp, i due partiti centralisti. La Galizia è un po’ un caso a parte: le forze nazionaliste di sinistra sono importanti, ma, a parte una breve parentesi, il governo è sempre stato saldamente nelle mani popolari.
Il momento cruciale della storia che spiega le tensioni che stanno esplodendo oggi fra le mani di Rajoy è il giugno 2010. Dopo aver temporeggiato per anni, il Tribunale Costituzionale, che in Spagna è diretta espressione dei partiti maggioritari presenti nelle Cortes, finalmente diede il via libera all’Estatut catalano, ma eliminando alcune parti che per i catalani erano particolarmente simboliche, con una disquisizione sul significato di «nazione» e «nazionalità » e sul problema dell’uso della lingua. Questo scatenò una manifestazione per le strade di Barcellona e nella mente di molti catalani si infranse l’idea che si potesse giungere a un accordo con Madrid. Subito dopo, la coalizione di sinistra perse il governo a Barcellona e i nazionalisti di destra che presero il potere con l’appoggio esterno del Pp iniziarono una stagione di tagli che poi appoggiarono anche a Madrid quando Rajoy prese il potere.
Lo scontento che sta montando in tutto il paese, in Catalogna prende la forma di un nazionalismo che non era mai sembrato tanto maggioritario come oggi, dopo la manifestazione dell’11 settembre. CiU, partito in difficoltà al governo a Barcellona, è molto abile a cavalcare lo scontento e dirigerlo verso Madrid. «L’indipendenza è la soluzione», si legge per le strade, segno che la sinistra catalana ha smarrito la capacità di agglutinare le forze per combattere le iniquità sociali, le vere ferite, in Catalogna e in Spagna. Dopo un incontro tanto anticipato quanto scontato fra Rajoy e il presidente catalano Artur Mas giovedì scorso, Mas scioglierà il Parlament per indire elezioni anticipate in cui il suo partito spera di vincere a man bassa, nonostante gli spaventosi tagli a cui ha sottoposto i catalani. La perdita del controllo che il Pp poteva esercitare in Catalogna si aggiunge alla probabile sconfitta dell’attuale presidente galiziano popolare Alberto Nàºà±ez Feijà³o e alla altrettanto probabile vittoria nazionalista in Euskadi nelle prossime elezioni anticipate a ottobre in queste due comunità . Comincia a vacillare il potere popolare, e come durante la Repubblica e la Transizione, le voci più alte della protesta parlano euskera, català e galego.
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