by Sergio Segio | 30 Settembre 2012 6:58
ROMA — Per i consiglieri regionali, oltre al taglio delle poltrone, si profila anche la riforma del trattamento previdenziale, già previsto ma non ancora attuato. Dopo la rinuncia ai vitalizi, che quasi tutte le Regioni hanno già fatto, il governo ora vuole dare piena attuazione alla norma di legge del 2011 che prevede l’abbandono del sistema previdenziale retributivo (come già accaduto per il Parlamento nazionale) e dunque pensioni parametrate ai contributi versati nel corso del mandato e non allo stipendio, che di fatto è rimasta inapplicata.
La riforma dovrebbe trovare spazio nel decreto legge che sarà all’esame del Consiglio dei ministri giovedì per la riduzione del costo della politica nelle amministrazioni locali, e che non riguarderebbe solo le Regioni. Nel pacchetto, sul quale c’è attesa e attenzione anche da parte del Quirinale, ci saranno anche la riduzione del numero dei consiglieri regionali, il taglio delle indennità di tutti gli eletti, una forte sforbiciata alle spese dei gruppi politici, che dovranno essere tutte certificate, e sanzioni economiche pesanti per le Regioni inadempienti. Nello stesso tempo si profila una nuova stretta anche sui Consigli provinciali e l’accelerazione delle norme attuative del federalismo, con il varo definitivo dei primi costi standard per Comuni e Province.
Saltano 600 consiglieri
Il primo intervento riguarderà la composizione dei Consigli regionali, che scatterà dalla prossima legislatura. Il numero dei consiglieri sarà parametrato a quello degli abitanti, anche per rispettare il principio della rappresentanza. Le Regioni fino a un milione di abitanti avranno 20 consiglieri, 30 quelle che non superano i 2 milioni, e così via, fino agli 80 consiglieri previsti per il parlamento della Lombardia, la Regione più popolosa. Se venisse applicato questo criterio anche nelle regioni a statuto speciale, sulle quali il governo è intenzionato questa volta a intervenire, salterebbero 600 poltrone, con i consiglieri ridotti dagli attuali 1.396 a 790. Nel decreto potrebbero essere anche indicati parametri più bassi per la determinazione degli emolumenti ai consiglieri, presidenti di Commissione e assessori, che oggi non possono superare lo stipendio dei parlamentari.
La stretta sui gruppi
Altro intervento scontato, sollecitato come il precedente dalle stesse Regioni, è quello sui gruppi consiliari. Si ipotizza un taglio drastico dei cosiddetti «monogruppi», quelli composti cioè da un solo consigliere, che oggi sono quasi la metà dei 231 gruppi censiti nei parlamenti regionali. In Molise, su 40 consiglieri, i gruppi sono addirittura 17, di cui 10 con un unico rappresentante. Il «monogruppo» del resto conviene, perché solo una parte delle cospicue risorse che hanno a disposizione (in Piemonte, ad esempio, sono circa 250 mila euro l’anno) è parametrata al numero dei componenti. Ci sarà il divieto di creare nuovi gruppi che non siano espressione di liste presenti alle elezioni locali o nazionali, ma forse si arriverà a stabilire anche un numero minimo di componenti. Saranno specificate le spese rimborsabili e si prevede l’obbligo della loro certificazione da parte di un organismo esterno, forse la stessa Corte dei conti.
Lo sprint sul federalismo
Nel frattempo il governo accelera sul federalismo. Giovedì saranno approvati i due schemi di decreto per l’applicazione dei costi standard della polizia locale ai comuni e degli incentivi all’occupazione per le Province. Dal 2013 un terzo dei costi complessivi sarà rapportato al costo standard e in tre anni, nel 2014 si salirà a due terzi e dal 2015 lo Stato riconoscerà agli enti locali solo il costo standard. Entro ottobre, poi saranno pronti anche i parametri di spesa per l’amministrazione generale. Quella che assorbe un buon 30% della spesa complessiva. Compresa quella per i costi della politica.
Mario Sensini
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