Il giorno più nero di Renata Polverini
ROMA. La pioggia torrenziale che ha colpito Roma deve aver ricordato a Renata Polverini quella tempesta che si sta concentrando in queste ore sulla regione Lazio. Il governatore ha passato il pomeriggio più lungo della sua carriera politica asserragliata negli uffici, facendo trapelare la sua intenzione di presentare le dimissioni: «Sto chiedendo un appuntamento al ministro dell’Interno Cancellieri per capire quali sono i tempi e le condizioni per andare al voto», ha commentato prima di tagliare tutti i ponti. Incontro poi effettivamente avvenuto, durato pochi minuti. Un segnale mandato alla sua maggioranza, più che un colloquio tecnico sui tempi per le eventuali elezioni. A fare da controcanto sono arrivate le smentite preoccupate inviate alle agenzie dagli assessori, poi il pressing di Silvio Berlusconi, in un turbinio di voci che si rincorrevano ora dopo ora, mentre nella caserma della polizia tributaria il procuratore aggiunto, Alberto Caperna e il sostituto Alberto Pioletti ascoltavano il racconto fiume di Francesco Fiorito. Ore segnate – per il centrodestra laziale – dalla paura neanche tanto celata che da indagato il consigliere regionale del Pdl si possa trasformare in gola profonda.
L’immagine di Fiorito, quasi beffarda, deve aver tormentato Renata Polverini, concentrata come mai nella ricerca della migliore via di uscita dalla valanga di accuse che si sta riversando sulla sua maggioranza. Il problema, per lei e per il Pdl scosso dal dopo Berlusconi, è il suo immediato futuro e la necessità di trovare la migliore exit strategy dal pantano della regione Lazio, a pochi mesi dalle elezioni politiche e dal rinnovo del consiglio comunale della capitale. Quello che per ora è certo è la pesante eredità lasciata dalla giunta Polverini, con una sanità sull’orlo del disastro, un’emergenza rifiuti ancora non risolta e una crisi del welfare che pesa come un macigno sul lavoro sparito.
La scena principale ieri pomeriggio era riservata inizialmente a Franco Fiorito, il consigliere originario di quella provincia di Frosinone che aveva garantito il pieno di voti a Renata Polverini, assicurandole – insieme al feudo del Pdl a Latina – la vittoria su Emma Bonino. Personaggio decisamente particolare, espressione del mondo politico della Ciociaria già feudo degli andreottiani, dove le elezioni sono l’appuntamento chiave per i diversi gruppi del sottobosco politico. Di lui si ricordano le parole poco gentili rivolte ai comitati dei cittadini durante l’audizione del commissario straordinario all’emergenza Malagrotta Goffredo Sottile, durante un’audizione in commissione ambiente. Nel sud del Lazio, in provincia di Frosinone, lo ricordano intonando «Omo se nasce, brigante se more», insieme ad un sindaco della provincia in piena campagna elettorale; esibizione filmata e diffusa su youtube. Il via alla valanga è arrivato da lui, oggi accusato di peculato per l’uso improprio dei fondi del gruppo consiliare del Pdl e difeso dall’avvocato Taormina, reggente di un fantomatico principato di Filettino, che ha coniato i «Fioriti» come moneta vortuale. Preso in castagna Franco Fiorito ha iniziato a raccontare di come il fiume di denaro che scorre all’interno dei palazzi regionali non sempre rimane nel greto legittimo. Rivoli o – forse – vere cascate si disperdono in spese che di istituzionale nulla hanno, ha spiegato nei giorni scorsi. Mano a mano che il numero delle ore del suo interrogatorio crescevano, aumentavano le paure nella politica del Lazio. I magistrati romani hanno prima chiesto conto delle proprietà del consigliere regionale, a partire dalle case per arrivare ai conti correnti, ben sette quelli aperti in Italia e cinque, in quattro diversi istituti di credito, quelli spagnoli per i quali la Procura sarebbe pronta a chiedere una rogatoria internazionale. Ma, secondo alcune indiscrezioni, l’inchiesta si starebbe già allargando in queste ore, puntando a far luce su alcune consulenze con la regione Lazio. Il punto di partenza sarebbero per ora i conti correnti di Fiorito, da dove sarebbero partiti alcuni bonifici che hanno incuriosito gli investigatori della Guardia di finanza. A mettere il carico da novanta è stata poi un’indiscrezione – non ancora confermata – su tre avvisi di garanzia, consegnati in mattinata nei palazzi della regione Lazio. Ombre di inchieste partite da altre procure, o false piste create per rendere ancora più cupo il momento. Per ora nessuna conferma è arrivata dagli investigatori o dai magistrati.
A blindare la figura del governatore non è stato solo il Pdl. L’altro partito che appoggia Renata Polverini, l’Udc, ha lanciato un vero e proprio fuoco di sbarramento rispetto all’ipotesi di dimissioni. «La presidente deve andare avanti, l’Udc è compatto al suo fianco», hanno dichiarato in una nota congiunta il capogruppo Udc in Consiglio regionale Francesco Carducci, il vicepresidente della Giunta Luciano Ciocchetti e l’assessore alle Politiche sociali e Famiglia Aldo Forte. Il Pdl assicura che non ci sarà nessun commissariamento del partito nel Lazio, nonostante il possibile aumento di intensità della bufera giudiziaria che potrebbe colpire il partito di Berlusconi nei prossimi giorni.
Dietro la trama da fine impero si nasconde uno scontro sempre più duro all’interno del Pdl. La frase che Franco Fiorito affida al suo difensore Carlo Taormina è, in questo senso, più che significativa: «Dirà tutto, gli altri si sono presi i soldi». La guerra dei dossier e dei ricatti è appena iniziata.
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