Hollande, la svolta del rigore

by Sergio Segio | 11 Settembre 2012 7:15

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PARIGI. Un’«agenda 2014» per Hollande che assomiglia molto all’«agenda 2010» che Gerhard Schroeder applicò alla Germania quando era cancelliere (e che gli è costata la carica alla prima scadenza elettorale). A poco più di 100 giorni all’Eliseo, Franà§ois Hollande si piega ai diktat del pensiero unico economico dominante: il punto centrale torna a essere il recupero di «produttività » dell’economia francese, chiede alle parti sociali di raggiungere un «compromesso storico» sulla riforma del mercato del lavoro e afferma che, se questo non verrà  fatto, sarà  lo stato a prendere decisioni passato il tempo della concertazione, cioè «entro la fine dell’anno». Per riportare al 3% il deficit pubblico nel 2013, Hollande ridurrà  la spesa di 10 miliardi e aumenterà  le tasse di 20.
Il presidente è andato in tv (sulla privata Tf1) domenica sera, per cercare di parare gli attacchi di cui è oggetto, accusato di «immobilismo», di dare troppo tempo al tempo, di non prendere decisioni mentre la disoccupazione esplode (sono stati superati i 3 milioni di disoccupati, oltre il 10% della popolazione attiva), mentre si stanno moltiplicando gli annunci di ristrutturazioni aziendali (a cominciare da Peugeot, che taglierà  8mila posti). Ai francesi dunque in diretta ha detto: «Mi dite che bisogna accelerare, accelerò». Si è dato un anno di tempo per «invertire» la curva della disoccupazione, due anni per il «risanamento» dell’economia francese. Questa manovra, la più dura mai realizzata in Francia dall’83 (anche allora c’era un governo socialista), dovrà  essere portata a termine in una situazione di crescita debole (solo più 0,8% nel 2013, una previsione che però alcuni economisti ritengono già  troppo ottimista) e di quasi stagnazione quest’anno. Una scelta di «politica di austerità », secondo Jean-Luc Mélenchon del Front de Gauche, che porterà  «necessariamente all’insabbiamento ritirando 30 miliardi di euro dall’economia». Hollande non ha utilizzato la parola «flessibilità » ma è chiaro che è quello che chiede il padronato quando parla di riforma del mercato del lavoro. Solo la piccola e media impresa verrà  favorita, anche con la creazione della Banca pubblica di investimento, mentre molte nicchie fiscali di cui godeva la grande impresa dovrebbero venire abolite. Hollande mette anche in cantiere la fiscalizzazione degli oneri sociali – la Sécurité sociale non sarà  solo più finanziata dal lavoro – per favorire una diminuzione del costo del lavoro in Francia.
Paradossalmente, sono state le bizze e le minacce dell’uomo più ricco di Francia, Bernard Arnault (amministratore delegato del polo del lusso Lvmh), ad aver reso meno amara la pillola dell’annuncio della svolta del rigore «di sinistra». Arnault, che si è trasformato nel portavoce del padronato scontento, ha difeso il suo progetto di voler cambiare nazionalità , abbandonare la Francia per diventare cittadino del Belgio, paese più accogliente per i grandi ricchi (e che permette ai suoi cittadini, a differenza della Francia, di risiedere a Montecarlo e di non pagare nessuna tassa). Ieri ha anche denunciato il quotidiano francese Libération per «pubbliche ingiurie» dopo la pubblicazione in prima pagina della foto notizia a tutta pagina con il titolo a caratteri cubitali «Levati di mezzo, ricco coglione».
Hollande ha così avuto buon gioco a mettere in avanti la tassa del 75% sui redditi che superano il milione di euro l’anno. La tassa sarà  eccezionale, durerà  solo due anni e non riguarderà  i redditi da capitale: ha cioè una portata più simbolica che concreta, toccherà  a massimo 2-3mila persone in Francia. Più pesanti per i ricchi altre riforme in corso, come l’aumento della patrimoniale e della tassa sulle successioni, la creazione di un tasso marginale delle imposte al 45% per chi guadagna più di 150mila euro l’anno. Ma la fuga di Arnault ha permesso a Hollande di sottolineare i guasti causati alla società  dalla secessione dei ricchi egoisti. La destra non ha calcolato l’effetto negativo sull’elettorato che può avere l’immediata difesa che ha preso dei ricchissimi: l’Ump, il partito di Sarkozy, ha visto nell’annuncio della fuga di Arnault la prova della vendetta fiscale dei socialisti.
Ad ottobre il parlamento francese voterà  sul Fiscal Pact, completando così la svolta del rigore. Per Hollande, c’è un’unica e tenue possibilità  di riuscita: rilanciare l’occupazione e imporre i sacrifici in modo chiaramente «giusto».
Ieri anche la ministra della cultura Aurelie Filippetti ha annunciato tagli per almeno 1 miliardo di euro ad alcuni progetti «non prioritari», alcuni voluti dall’ex presidente Sarkozy come la Maison de l’histoire de France, assicurando però che è «prematuro» parlare di riduzione del 3% del budget del suo dicastero, come annunciato da alcuni giornali.

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