Ghiaccio artico addio
Quando i satelliti hanno iniziato a tenere traccia del livello dei ghiacci, nel 1979, il ghiaccio ricopriva circa la metà dell’Oceano Artico. In trent’anni si è ridotto della metà , e a un ritmo sempre piຠrapido. «Il livello minimo di quest’anno è circa il 50% piຠbasso della media tra il 1979 e il 2000» secondo il National Snow and Ice Data Center (Nsidc), istituto governativo degli Stati uniti.
L’allarme era già stato lanciato da Greenpeace giorni fa. L’organizzazione ambientalista ha infatti inviato una spedizione nell’Artico, con a bordo un team di scienziati, tra cui Julienne C. Stroeve del Nsidc. L’istituto ha confermato ieri i dati di Greenpeace. «Tra vent’anni, ad agosto, sarà possibile attraversare in nave l’Oceano Artico» ha chiarito la Stroeve, che si è dichiarata scioccata dai risultati. «Le previsioni piຠrecenti ipotizzavano un futuro senza ghiacci estivi per il 2050, ma il fenomeno sta avvenendo ad un ritmo molto piຠveloce del previsto» ha aggiunto.
Perché il ghiaccio estivo è cosà importante? Per due ragioni. La prima è che «l’Artico è il condizionatore d’aria del pianeta», come spiega Walt Meier, ricercatore al Nsidc: «Non si tratta solo del fatto che gli orsi polari si estingueranno o che le comunità inuit dovranno adattarsi, cosa che si sta già verificando. Ci sono conseguenze climatiche piຠampie».
C’è infatti un ampio consenso tra i climatologi sul fatto che il ghiaccio artico svolga una funzione di mitigazione dell’effetto serra, respingendo i raggi solari invece di assorbirli come invece fa la superficie marina. Non solo, il progressivo scioglimento del pack sta già avendo un ruolo nell’estremizzazione del clima nell’emisfero boreale: uragani in Nord America, estati torride e alluvioni invernali in Europa. La seconda ragione per cui il livello minimo del ghiaccio artico è monitorato con tanta attenzione dagli scienziati è che questo dato anticipa altri scompensi climatici nel resto del mondo.
E mentre gli scienziati si chiedono se le loro previsioni, per quanto fosche, non stiano costantemente sottostimando la scala delle conseguenze a lungo termine sull’equilibrio climatico del pianeta indotte dalle emissioni di gas a effetto serra, i decisori politici si trastullano in inutili e improduttivi vertici, dando l’impressione che si tratti solo di manovre per prendere tempo ed evitare di intervenire sull’ultima piaga in ordine di tempo: la «corsa all’Artico» delle piຠgrandi compagnie energetiche del mondo. Infatti, con il ghiaccio che si riduce e i prezzi di gas e petrolio ai massimi storici, il Polo Nord sta diventando un interessante e potenzialmente redditizio terreno di esplorazione per le fonti fossili. Giganti come l’anglo-olandese Shell e la russa Gazprom progettano di trivellare nelle acque del Circolo Polare Artico per estrarre tutto il possibile dal fondo marino – anche se Shell ha subìto per ora una battuta d’arresto, come riferiva ieri questa rubrica. Una corsa criminale, condotta lontano dai riflettori e dall’opinione pubblica. Anche grazie all’insistente campagna condotta da Greenpeace negli ultimi mesi per salvare l’Artico, ieri alcuni membri del parlamento britannico hanno chiesto formalmente al governo di bloccare le prospezioni e istituire delle zone libere da piattaforme petrolifere. Troppo poco e troppo tardi, in ogni caso.
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