Francia. «Tutti contro il 3%». La fronda anti-rigore

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PARIGI — Lo sforzo è senza precedenti ma — a parere di molti — non basterà : la riduzione del deficit al 3% del Pil nel 2013, pietra angolare della politica economica di Sarkozy prima e di Hollande adesso, è di fatto impossibile da raggiungere, oltre che letale per la crescita. Il ministro dell’Economia Pierre Moscovici ripete che «se dovessimo annunciare che ci tiriamo indietro, il giorno dopo saremmo attaccati dai mercati», e la conferma a oltranza del 3% è quindi innanzitutto un segnale lanciato all’esterno. Ma una volta approvata la manovra presentata ieri, si riaprirà  un dibattito che è cominciato in Francia, attraversa l’Europa e finisce a Bruxelles: la Commissione prenda atto della situazione e conceda — a tutti i Paesi membri — un anno in più.
Le voci in questa direzione si fanno sentire da giorni in Parlamento e non solo. A spezzare il consenso di facciata sull’austerité — parola tuttora pressoché proibita nel lessico politico di destra e sinistra — è stato a sorpresa un alto esponente della maggioranza socialista, il presidente dell’Assemblea nazionale Claude Bartolone. «L’obiettivo del 3% è impossibile da rispettare, a meno che non si voglia bloccare la crescita», ha detto qualche giorno fa, aggiungendo però che la Francia non poteva essere «il brutto anatroccolo d’Europa»: «Spetta alla Commissione adattare le regole alla situazione, perché non si può chiedere ai Paesi lo stesso sforzo senza valutare se la crescita c’è o non c’è. Il presidente Barroso dovrà  porre il problema».
Già  nella campagna elettorale per le elezioni legislative, la sinistra che aveva appena conquistato l’Eliseo immaginava due opzioni non necessariamente alternative: rigore da un lato, clemenza di Bruxelles (sotto forma di un rinvio dal 2013 al 2014) dall’altro. Il primo punto è stato soddisfatto con l’aumento delle tasse dettagliato ieri; resta adesso da affrontare il secondo, cioè come arrivare a un alleggerimento dei vincoli imposti dall’Europa.
Un tema condiviso da diversi analisti, tra cui gli economisti dell’influente think tank «Bruegel» di Bruxelles che circa 10 giorni fa ha pubblicato lo studio «Regole fiscali: il timing è tutto». Gli autori del dossier, l’italiana Benedicta Marzinotto (un anno fa all’origine dell’idea di un «piano Marshall per la Grecia») e il belga André Sapir, propongono appunto un rinvio al 2014 «visto che i paletti fissati dall’Europa non sono così rigidi come comunemente si crede».
In questo modo sacrifici come quelli chiesti ieri in Francia potrebbero risanare le economie senza strangolare la crescita, trasformandosi nella cura che uccide il paziente. Se non dovesse rivelarsi praticabile l’ipotesi di un rinvio, la salvezza potrebbe comunque arrivare da Bruxelles sotto un’altra forma: il «Trattato di stabilità  fiscale» parla di «deficit strutturale», diverso da quello nominale. Il deficit strutturale è meno elevato, perché non calcola al suo interno le spese supplementari e i mancati introiti provocati dalla pessima congiuntura economica. Il ministro degli Affari europei, Bernard Cazeneuve, ha già  sommessamente avanzato l’idea che a livello europeo ci si possa mettere d’accordo per concentrare gli sforzi nella riduzione del deficit strutturale, in modo da liberare risorse per la crescita.
Il centrodestra, che pure voleva mettere la «regola d’oro» del 3 per cento nella Costituzione, parla ora di recessione garantita, il Front National protesta contro una «assurda iper austerità » e il Front de gauche, alla sinistra dei socialisti, invita a scendere in piazza domani a Parigi. Varata la manovra, ora si può pensare ai correttivi.


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