Fornero: che cosa chiedo alla Fiat

by Sergio Segio | 17 Settembre 2012 8:04

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«LA FIAT è ormai una multinazionale. Ma è anche una grande industria italiana. Per questo, Marchionne ha il dovere di spiegarci quali sono le sue strategie per l’Italia. Aspettiamo sue notizie nei prossimi giorni. Io ho molte cose da chiedergli. E l’attesa non può essere eterna…». Elsa Fornero è molto preoccupata.
ELANCIA l’ultimo appello al Lingotto: «Il governo non può imporre le sue scelte a un’impresa privata. Non possiamo “convocare” l’amministratore delegato al ministero. Ma all’amministratore delegato abbiamo chiesto un impegno preciso: ci dica come intende cambiare i contenuti del piano Fabbrica Italia. Ci dica se e come sono state modificate le strategie di investimento del gruppo nel nostro Paese. Ci dica se e come sono mutati gli impegni occupazionali negli stabilimenti attivi sul territorio nazionale. Marchionne non può tirarsi indietro. Lo deve non tanto e non solo al governo e ai suoi azionisti, ma soprattutto ai lavoratori della Fiat, e a migliaia di famiglie che vivono grazie alla Fiat. E lo deve anche all’Ita-lia… ».
Dunque, per il ministro del Welfare non bastavano l’Alcoa e l’Ilva. Non bastavano il Sulcis, Taranto e i 150 tavoli aperti su altrettante crisi aziendali, a rendere ancora più caldo il solito autunno che sta per cominciare. La crisi della Fiat chiude il cerchio. In tutti i sensi: da quello pratico a quello simbolico. Fornero ne parlerà  in serata al concerto di gala del “Prix Italia” di Torino: quasi un mezzo consiglio dei ministri informale, con i “colleghi” degli Interni Anna Maria Cancellieri e dell’Istruzione Francesco Profumo. In quella che fu la capitale dell’auto quasi non si parla d’altro. La “ritirata” del Lingotto. Il “tradimento” di Sergio l’Amerikano. La conferma del declino industriale di un Paese che, a dispetto di qualche ottimismo di troppo profuso in questi ultimi giorni dal governo, resta ancora piantato dentro al tunnel. E se si intravede qua e là  una flebile luce — come del resto aveva avvertito pochi giorni fa proprio l’amministratore delegato della Fiat con il suo consueto e profetico cinismo — «forse non è il tunnel che finisce, ma è solo il treno che ci sta per travolgere».
Ora la profezia si autoavvera. Il «treno che ci sta per travolgere » è la fine troppe volte annunciata del grande sogno di Fabbrica Italia. Al suo posto, ora c’è l’incubo dell’ennesima disfatta industriale. La “fuga” della Fiat dal Belpaese. La chiusura di almeno due dei cinque stabilimenti superstiti (Pomigliano, e chissà , magari anche Mirafiori). La ricaduta occupazionale potenzialmente devastante sui quasi 25 mila dipendenti diretti del gruppo (senza considerare l’indotto). L’addio definitivo a un altro settore produttivo, l’automobile, che prima e soprattutto dopo la guerra ha rappresentato il cuore del Miracolo Economico. Smantelleremo anche quello, dopo aver alzato bandierea bianca sulla chimica e l’informatica, la siderurgia e l’alimentare?
La Fornero non si rassegna. «A noi sta a cuore che la Fiat difenda e rilanci la sua produzione e i suoi investimenti in Italia». Se questo non accadesse, il danno sarebbe enorme. Non solo per gli “stakeholder”, come li chiama il ministro del Welfare, ma per l’intera nazione. Il problema è che Marchionne finora non ha dato nessuna spiegazione, e nessuna garanzia. Per questo la Fornero rilancia: «Io ho parlato più volte con Marchionne.
Ci avevo parlato prima del-l’estate, e ci ho parlato di nuovo nei giorni scorsi. Dopo l’annuncio di venerdì, all’amministratore delegato ho chiesto un incontro urgente. Gli ho comunicato una serie di date. Mi ha risposto che era in partenza per gli Stati Uniti, e che mi avrebbe fatto sapere al suo rientro. Ma finora il mio telefono non ha ancora squillato. Sto aspettando sue notizie. Me le aspetto nei prossimi giorni, e non mi faccia dire di più…». Il ministro evita gli ultimatum: anche perché quelli timidamente abbozzati finora, con il numero uno del Lingotto non hanno prodotto nessun risultato. Sarebbe rovinoso se lo schema si ripetesse ancora una volta: il governo che fa la voce grossa, il “ceo” che fa spallucce e va avanti per la sua strada. La strada che porta a Detroit, dove Marchionne sta lavorando anche in questi giorni. Per questo, evidentemente, non ha tempo per alzare il telefono, e dare una data alla Fornero che gliela chiede.
«E’ vero — ammette il ministro — finora le nostre richieste non hanno raggiunto risultati concreti. E questo è un problema che avvertiamo, mi creda. Ma con la stessa sincerità  le dico che il governo, in questi mesi e in queste ore non è stato con le mani in mano. Contatti ci sono stati e ci sono, con il Lingotto. Corrado Passera si sta facendo carico del confronto sulle strategie industriali, io delle ricadute occupazionali. Le assicuro che ci stiamo muovendo…». Fornero ha un lungo elenco di domande, da rivolgere all’amministratore delegato. Il ministro è il primo a riconoscerlo: «La crisi dell’auto — osserva — è globale e strutturale». Ma perché la Fiat perde molto più del mercato? E perché l’Italia continua ad essere l’area di maggiore criticità ? Il nostro Paese diventerà  solo uno dei tanti sbocchi di commercializzazione, o resterà  ancora uno dei centri nevralgici di produzione automobilistica? Quali e quanti stabilimenti potrebbero chiudere? Ci sono progetti alternativi di reimpiego o di  eindustrializzazione?
La lista delle richieste potrebbe continuare. Purtroppo, finora, quello che manca drammaticamente sono le risposte. Ma anche se i fatti di questi mesi e di queste settimane non le danno ragione, Fornero nega che il governo sia stato inerte, se non addirittura “insensibile” di fronte agli allarmi che arrivavano lungo la rotta Torino-Auburn Hill. Non si sente un «ministro inesistente uscito da un libro di Italo Calvino», come ha scritto giustamente Luciano Gallino su questo giornale. «No, a questa rappresentazione non ci sto — obietta — e posso garantirle che sul caso Fiat il governo ha le idee molto chiare, e si sta impegnando in modo unitario e molto deciso. Nei prossimi giorni lo vedrete… ».
Il problema è capire i termini di questo «impegno unitario e deciso». Se cioè Monti e i suoi ministri possano limitarsi ad ottenere una semplice “informativa” da Marchionne, oppure se vogliano inchiodarlo ad un vincolo più stringente sul piano delle scelte strategiche. Fornero, sia pure con cautela, accredita la seconda ipotesi: «L’epoca dello Stato Padrone è finita da un pezzo, per fortuna. Il governo non può decidere dove una grande industria privata deve allocare le sue risorse. Ma la Fiat, che ha fatto tanto per l’Italia, ha anche delle responsabilità  verso questo Paese. Vorremmo che ne tenesse conto, e che desse un segnale al più presto… ». Il monito è rivolto a Marchionne: il suo silenzio non può durare ancora a lungo, e comunque non certo fino al consiglio di amministrazione Fiat fissato per il 30 ottobre: il chiarimento deve avvenire molto prima. Ma il monito sembra rivolto anche a John Elkann: la famiglia Agnelli non può tacere a sua volta, riparata dietro al suo manager. Fabbrica Italia era un progetto faraonico: 20 miliardi di investimenti, che rappresentavano un volano potenziale per l’intera economia nazionale. Se ora svaniscono, o si dirottano altrove, l’azionista deve pur assumersi le sue responsabilità . Stavolta è in ballo qualcosa di più del destino di un glorioso marchio tricolore. La posta in gioco è uno degli ultimi “pezzi” del Sistema-Paese.

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