Fisco, Romney respinge le accuse una “bomba a orologeria” sul voto

by Sergio Segio | 3 Settembre 2012 6:46

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NEW YORK — Gli elettori americani vorranno mandare alla Casa Bianca un candidato che non ha fatto il suo dovere di contribuente? La questione ha fatto irruzione nella campagna elettorale sabato sera, quando il New York Times ha rivelato l’esistenza di un’indagine giudiziaria per elusione fiscale sulla società  fondata da Mitt Romney. E’ una “bomba a orologeria”, che può influire nei sessanta giorni che restano al voto. Finora le (poche) tasse pagate dal repubblicano erano un tema di polemica politica. Lui ha ammesso di avere pagato il 13,9% sulle sue entrate malgrado una fortuna di 250 milioni; ma è un privilegio “legale” per chi ha plusvalenze finanziarie (capital gain) mentre l’aliquota maggiore sugli stipendi dei dipendenti è del 35%.
Tutto “legale”, salvo che i guadagnati siano stati travestiti, mascherati per quello che non sono. È questo il sospetto dietro la clamorosa inchiesta avviata dalla procura generale di New York, che ha competenza su Wall Street. Nel mirino ci sono tutte le grandi società  del private equity, un club di investitori molto esclusivo: “private” nel senso che non sono quotate in Borsa e investono in società  anch’esse solitamente non quotate, il che implica minori doveri di trasparenza. Vi figura la Bain Capital, che fu fondata e diretta proprio da Romney. La sua attività  prevalente: comprare aziende in difficoltà , risanarle, poi rivenderle con profitto. Già  sulla “nobiltà ” di questo mestiere
i democratici hanno attaccato Romney. Tra le sue specialità  c’erano le delocalizzazioni in Asia o gli smembramenti di imprese con licenziamento di dipendenti. Ma la risposta di Romney a quelle accuse era secca: è il capitalismo, bellezza. Ora con l’indagine del procuratore generale Eric Schneiderman le cose cambiano. Qui l’accusa è di illecito: elusione fiscale, 220 milioni di imposte sottratte al fisco dai soli partner di Bain. Le società  di private equity sono sospettate di avere trasformato dei normali compensi (commissioni e onorari per consulenze) in partecipazioni al capitale. Effettuato il “travestimento”, si sono applicate un aliquota del 15% anziché quella del 35%.
Il procuratore Schneiderman è un democratico, occupa quella carica elettiva dal gennaio 2011 dopo aver sconfitto un candidato repubblicano. Ha ereditato il compito di “sceriffo di Wall Street”, occupato prima di lui da Eliot Spitzer ed Andrew Cuomo. E’ già  stato protagonista di importanti battaglie giudiziarie per disciplinare la finanza. E’ anche membro di una task force antifrodi voluta da Barack Obama. Tuttavia almeno nelle prime ore dopo la rivelazione-shock, nessuno in campo repubblicano ha
accusato la procura di avere un’agenda politica. Anche quando sono cariche elettive, o di nomina presidenziale, le toghe americane godono di un generale rispetto. Ieri Romney ha preferito lasciare la risposta all’avvocato che gestisce il suo patrimonio, Bradford Malt. «Trasformare le commissioni in un investimento è pratica diffusa, accettata e legale – ha dichiarato l’avvocato – e tuttavia Romney non ha autorizzato il blind trust che gestisce il suo patrimonio a farvi ricorso, né prima né dopo la sua uscita da Bain Capital». Oggi Romney non ha più incarichi operativi, però Bain Capital continua a versargli i rendimenti dei suoi investimenti. Per fugare i pesanti dubbi generati dall’indagine giudiziaria, Romney si trova in una posizione scomoda: crescerà  l’insistenza dei democratici (e dei media) perché lui renda note tutte le sue dichiarazioni dei redditi. Finora ha pubblicato solo quelle degli ultimi due anni, anziché risalire indietro di cinque o dieci come gli viene chiesto. Aumentano anche i sospetti attorno ai suoi conti offshore alle Caimane. L’ultima volta che Romney ha evocato questi attacchi, alla convention di Tampa, ha detto che «in America siamo orgogliosi del successo economico, non ce ne vergogniamo ». L’accusa contro Obama è di fomentare invidia sociale, lotta di classe. Ora però non si tratta più di legittima ricchezza, bensì di presunti illeciti fiscali. Il sito DailyKos avanza l’ipotesi che Obama sapesse già : i primi avvisi di garanzia con richieste di interrogatorio sono stati emessi dalla procura di New York un mese fa. Ieri i democratici non hanno fatto commenti. Anche a loro conviene non politicizzare questa vicenda, salvo lasciarla come un’arma per Obama nei tre duelli televisivi. Di certo rafforza la richiesta del presidente di introdurre una tassa sui milionari (Buffett Tax, al 35%) che sia almeno uguale all’aliquota sugli stipendi del ceto medio.

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