Era bipartisan il sistema delle «rendition»

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In primo luogo la sentenza della Cassazione ha di fatto giudicato incongrua l’apposizione del segreto di Stato nel caso Omar ed ha deciso per un nuovo processo presso la Corte d’Appello di Milano nei confronti degli ex appartenenti al Sismi, servizio segreto militare ora Aise, Nicolò Pollari, Marco Mancini, Giuseppe Ciorra, Luciano Di Gregori e Raffaele Di Troia. Nei confronti di questi ultimi si era in precedenza deciso il non luogo a procedere appunto perchè le loro responsabilità  non potevano essere accertate vigente il segreto apposto inizialmente dal governo Berlusconi (2001-2006) e indi da quello Prodi (2006-2008) e ancora dal governo Berlusconi (2008-2011).
Il nuovo processo dovrebbe quindi finalmente permettere di portare alla luce gli «88 documenti» di cui Pollari, al vertice del Sismi durante il rapimento di Abu Omar (Hassan Mustafa Osama Nasr), ha rivelato l’esistenza nei precedenti processi e che indicherebbero la estraneità  sua, e del Servizio in quanto tale, al rapimento. Come già  scrivemmo nel 2009 (manifesto del 1 ottobre), l’importanza di questi documenti è anche maggiore della prova o meno della complicità  di Pollari, in quanto rivelerebbero la catena di comando segreta e incostituzionale che ha permesso una flagrante violazione del diritto nazionale e internazionale sul suolo italiano.
Pollari ha sempre protestato la sua impossibilità  di difendersi perchè tenuto al rispetto del segreto di Stato e i suoi avvocati hanno invocato la corte perchè chiedesse al governo di togliere quel segreto. Prova che quei documenti, se non proprio l’estraneità , potrebbero provare chi diede a Pollari un ordine o chi agiva altrove nella stessa direzione. O semplice bluff, ben sapendo che il segreto molto difficilmente sarebbe stato tolto? In ogni caso un elemento decisamente diverso tornerebbe alla ribalta: su quali uomini – al di là  degli apparati cui appartengono o appartenevano – potevano e possono contare in Italia i centri di potere statunitensi quando vogliono realizzare operazioni segrete? Vi sono ancora linee di comando che più o meno informalmente partono da Washington (o da Langley) e finiscono a Roma? Quelle storiche le teneva l’ex-presidente della Repubblica Francesco Cossiga. Quelle nuove?
In secondo luogo, storica la sentenza lo è già  per la parte che condanna in via definitiva gli agenti della Cia e il loro capo in Italia, Robert Lady Seldon, prima sentenza definitiva al mondo a bollare inequivocabilmente le operazioni di extraordinary renditions come illegali e criminali, a testimonianza della solidità  dell’apparato accusatorio dei pubblici ministeri Pomarici e Spataro.
I servi di vecchia data (si definivano «patrioti», ma chissà  di quale patria) e i servi nuovi che in Italia hanno fatto buon viso a cattivo gioco sostenendo che il programma era «utile», non solo non hanno mai voluto capire nulla delle ragioni vere del programm delle renditions così come si è trasformato sotto Cheney e Bush (uno strumento di terrore internazionale destinato a suscitare ondate di terrorismo e tenere in piedi la «guerra infinita»), ma nenmeno dell’abisso in cui precipitava gli stessi servizi segreti di nazioni ove la tortura, sebbene certo occasionalmente praticata, non era più un «sistema» (almeno fuori delle carceri speciali). La pratica della tortura è non solo proibita dalla Convenzione di Ginevra e dal diritto umanitario, senza eccezione alcuna – terroristi o meno – ma è anche altamente controproducente.
E proprio la sentenza definitiva sul caso Omar e le vicende che sono emerse nel processo provano che gli apparati statunitensi costringevano i catturati a diventare «collaboratori» o a subire le più orrende torture, avviando il circolo vizioso tipico di tutte le procedure di tortura per cui pur di liberarsi dai tormenti o di provare la propria utilità  come informatore – i malcapitati inventano accuse contro chi pensano possa essere un candidato credibile agli occhi dei persecutori.
In decine e decine di casi è venuto a galla che gli uomoni degli apparati statunitensi facevano a gara ad attribuirsi la cattura di elementi «sospetti» e la loro «rendition» ai torturatori dei propri servizi o di quelli di Paesi esteri, sulla base di «prove» le più inconsistenti o manifestamente false. Ultimo caso quello dello yemenita Adnan Farhan Abdul Latif, tenuto a Guantanamo dal 2002 senza processo e tra orribili sofferenze, mortovi qualche giorno fa nonostante nel 2010 un giudice statunitense avesse ordinato la sua scarcerazione per l’assoluta inconsistenza delle prove contro di lui.
Ma in Italia nessuno ne sapeva niente, naturalmente, e Pollari e il suo «network» bipartisan non erano i soli. Altri «network» – misteriosamente bipartisan pure loro – non ne sapevano niente. L’allora capo della polizia di Stato (2000-2007), Giovanni De Gennaro, grande tessitore delle relazioni tra apparati investigativi italiani e statunitensi, non ne sapeva niente, mentre 26 aerei (al minimo) delle renditions atterravano, nel periodo, 80 volte negli aeroporti italiani sotto la sorveglianza della polizia di Stato (il manifesto del 24 gennaio e 3 marzo 2006). E Prodi, presidente della Commissione Europea dal 1999 al 2004 non ne sapeva niente nemmeno lui, mentre i cieli e gli aeroporti d’Europa – ben monitorati da agenzie sotto la sua responsabilità  – erano attraversati dagli aerei e dai prigionieri degli apparati statunitensi, per non parlare delle prigioni segrete istituite in quegli anni in Romania, in Polonia, in Lituania, al servizio degli statunitensi. Il nuovo processo agli uomini del Sismi potrebbe approdare in moltre altre spiagge.


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