Emergenza rifugiati siriani in Iraq
ERBIL La Siria ha accolto almeno un milione di iracheni nel periodo del conflitto confessionale tra il 2006 e 2008. All’epoca era più facile da Falluja andare a Damasco che a Baghdad. Ogni giorno arrivavano migliaia di iracheni nei sobborghi della capitale siriana. Un destino diverso tocca ora ai siriani in fuga dalla guerra civile. Pochi giorni fa 400 famiglie, composte per lo più da donne e bambini, sono state bloccate al posto di confine di Al-Qaem nella regione irachena dell’Anbar. Fuggivano dall’artiglieria di Assad che ha attaccato la città di Der el Zur, ma al confine gli iracheni hanno eretto barriere alte 4 metri per evitare che entrassero. Nonostante le proteste dello stesso parlamento iracheno, per i siriani non c’è stata possibilità di mettersi al riparo dalla guerra. Si sono accampati al confine nella terra di nessuno, attendendo che qualcuno li aiutasse. Una donna incinta è morta, lo stesso è accaduto a tre ragazzi feriti. Un bambino è deceduto per un attacco di asma dovuto a una delle tante tempeste di sabbia che attraversano questa terra. Nel nord Iraq il governo regionale kurdo ha invece tenuto le frontiere aperte, nonostante spesso ci siano stati conflitti con l’esercito iracheno su chi debba avere diritto a controllare il confine del nord. I kurdi sono stati in ogni caso i primi ad accogliere i siriani kurdi e moltissime ong locali sono al lavoro per portare aiuti nel campo profughi di Domiz vicino Dohuk. Molte organizzazioni hanno raccolto fondi e fatto distribuzioni per i kurdi in fuga dalla Siria. Tra loro disertori che non vogliono essere arruolati nell’esercito di Assad, moltissime persone in arrivo da Aleppo e anche cristiani che cercano accoglienza nelle comunità cristiane irachene. Il valico di Rabia nel nord iracheno è però non facile da raggiungere in quella zona ci sono i peshmerga kurdi, l’esercito iracheno, l’esercito libero siriano, l’esercito di Damasco e i guerriglieri legati al Pkk. Un po’ troppa folla in un luogo dove l’unica cosa che funziona è il contrabbando, mentre fonti locali riferiscono che anche lì ci siano 700 persone bloccate nella terra di nessuno da alcuni giorni. Il governo regionale kurdo ha stanziato 2 milioni di dollari per fra fronte all’emergenza, l’Onu al momento ha raccolto poco e in generale la comunità internazionale è assente dall’Iraq. L’Onu ha registrato circa 20 mila siriani in Iraq ma i numeri sono molto più ampi perché in tanti cercano di rifugiarsi da amici e parenti, per sfuggire ai campi profughi che si stanno rivelando, anche in Giordania e Turchia, dei ghetti dove esplodono conflitti e vulnerabilità . Il governo iracheno ha chiesto aiuto alla comunità internazionale per affrontare la crisi ma, vista la scarsa risposta da parte dei donatori, è stato difficile intervenire. Quindi, adducendo motivi di sicurezza, alcuni posti di frontiera vengono chiusi o aperti a singhiozzo. Un ponte per… è rimasta l’unica organizzazione italiana in Iraq e tra le pochissime internazionali. La maggior parte delle ong sono andate via una volta finiti i miliardi di euro che hanno inondato il paese dopo la guerra del 2003. Con le organizzazioni locali si è cercato di contribuire alle piccole distribuzioni in atto per i siriani ma evidentemente non è sufficiente. Le emergenze interne all’Iraq stesso sono frequenti e sono ormai troppe le famiglie siriane che ogni giorno si accalcano alla frontiera. Sarebbe necessario un intervento molto più ampio, almeno per rispondere ai bisogni più urgenti. In questo tragico gioco delle parti in cui i rifugiati di ieri sono gli ospitanti di oggi sembra che ai siriani stia toccando un destino, se possibile, peggiore di tutti gli altri. Bloccati alle frontiere con l’Iraq, a rischio di espulsione e reclusi in campi infernali come quello di Za’atari in Giordania, in mezzo a conflitti armati in Libano. Molti tra i governi coalizzati contro Assad stanno già ragionando sul futuro della Siria, sulle sue future classi dirigenti e le relazioni economiche. Farebbero bene a occuparsi con un po’ più di attenzione anche della crisi umanitaria in corso. Perché i paesi dell’area sono tutti molto fragili: per alcuni la Siria rischia di diventare il nuovo Iraq, per altri sarà simile al Libano. Potrebbe diventare una miscela esplosiva di entrambe le tragedie.
Related Articles
Yemen, bombardati i profughi somali
Un Apache, probabilmente saudita, ha colpito un barcone in fuga dalla guerra: 42 morti accertati, 80 i sopravvissuti. Sono oltre 270mila i rifugiati africani nel paese del Golfo
Truppe ai confini l’Ue diffida Putin “No all’invasione”
Accordo Mosca-Kiev per un convoglio di aiuti “Ma la Russia ha schierato 45 mila soldati”
Libia: petrolio rosso sangue
È uscito il secondo episodio di «Humanitarian War», famosa fiction washingtoniana sulla Libia. Ecco il trailer: aiutati i libici a liberarsi dal feroce dittatore, i buoni, guidati dall’eroico Chris, continuano ad aiutarli con uguale disinteresse; ma i cattivi – i terroristi ancora annidati nel paese – uccidono Chris che «rischiava la vita per aiutare il popolo libico a costruire le fondamenta di una nuova e libera nazione» (Hillary Clinton) e, «fatto particolarmente tragico, lo uccidono a Bengasi, città che aveva aiutato a salvare» (Barack Obama); il Presidente invia una «forza di sicurezza» in Libia, ma sono gli abitanti di Bengasi, scesi spontaneamente in piazza con cartelli inneggianti a Chris, a cacciare i cattivi dalle loro tane. In attesa del terzo episodio, uno sguardo alla realtà .