E i sindacati ora temono l’autunno caldo “Non gestiamo più la rabbia degli operai”

Loading

PORTOVESME (CARBONIA) — In sindacalese si chiamano «momenti estremi». Nel linguaggio ruvido dei metalmeccanici sardi significa che «a forza di tirare la corda, qualcuno la pagherà ». Te lo spiegano così, con la schiuma alla bocca, davanti ai cancelli del bestione di Portovesme. La protesta sulla torre. La bomba fantoccio. Gli scontri al porto di Cagliari. Per dire dell’Alcoa. E poi il presidio sotterraneo dei minatori di Carbosulcis, e i pastori, e gli operai della chimica, dell’industria elettrica. Il sud della Sardegna è una polveriera pronta a esplodere. Un calderone dove ribolle l’insofferenza, l’angoscia, la rabbia di migliaia di lavoratori che si sentono «abbandonati», anzi, «più abbandonati degli altri». Che sarebbero i colleghi del «continente».
Benvenuti nel Sulcis-Iglesiente, il territorio più cassaintegrato d’Italia. Quattromilacinquecento ammortizzatori sociali per 129 mila abitanti. Il 40 per cento dei paracadute sganciati dal governo per le aziende sarde che chiudono, si aprono qui, nella provincia di Carbonia- Iglesias. Ventitré comuni e una strage industriale che non fa prigionieri. «Autunno caldo? Scusi ma mi viene da ridere per non piangere. Da noi — spiega Franco Bardi, segretario provinciale Fiom — tutte le stagioni sono calde, autunno, inverno, primavera, estate. Siamo conciati così da anni. Ve ne accorgete solo adesso perché Carbosulcis e Alcoa stanno facendo casino. Ma nelle stesse condizioni di quegli operai si trovano tanti altri colleghi. Ieri, dopo la bomba all’Alcoa, ci ha convocati il prefetto. Gli abbiamo detto che non siamo più in grado di gestire la rabbia dei lavoratori».
Al Viminale, dopo quello che è già  successo in questi giorni, sperano che nell’incontro non si debba discutere di nuovi episodi, magari di una degenerazione della protesta in programma domani a Roma. Stefano Ansaldi, meccanico in appalto, classe ‘72, usa una metafora, non lo è nemmeno troppo visto che tante delegazioni di lavoratori oggi si imbarcheranno per Civitavecchia dirette nella capitale: «Siamo tutti sulla stessa barca. Sfruttati, dimenticati, incazzati».
È la storia della corda troppo tirata. È la storia di una balletto tra Governo, Regione e multinazionali spregiudicate. Che adesso scrive il suo nuovo capitolo, quello dei «momenti estremi». Le tute blu dell’Alcoa partono questa mattina all’alba da Portovesme. Quattro ore di pullman, traghetto a Olbia per Civitavecchia. Poi ancora pullman per Roma. «L’altra volta ci siamo arrampicati sul cancello del ministero, domani non so che cosa succederà …», prevede Christian.
Intanto le procedure di chiusura, nell’impianto Alcoa, continuano. Ventitré celle elettrolitiche sono già  spente. Un dato che fa a pugni con l’ottimismo forzato diffuso dal governatore Ugo Cappellacci: «Siamo disponibili ad attivare un nuovo tavolo di approfondimento, una soluzione si troverà ». La realtà  è che a Portovesme gli operai sono sempre più pessimisti. È un distretto in agonia. Un’epidemia diffusa che ha già  contagiato 3 mila lavoratori e fatto aprire un fronte sindacale unico chiamato, non a caso, «Vertenza Sardegna». C’è il dramma della Carbosulcis; c’è l’Eurallumina che produceva ossido di alluminio per l’Alcoa ma è ferma da tre anni e mezzo. Ci sono i «nodi» della Portovesme (piombo e zinco), della Keller di Villacidro (carrozze ferroviarie, trattativa in corso con acquirenti cinesi), dell’Enel e della Ila (laminati in alluminio). Alla Sms di Iglesias facevano profili in alluminio: chiusa da un anno e mezzo. I conti sono fatti: eccoli i 3 mila lavoratori «alle pezze ». «Nel Sulcis un numero come questo corrisponde ai 15 mila di Taranto», conclude Bardi. Di fronte a una crisi industriale «senza precedenti», Cgil, Cisl e Uil hanno annunciato la mobilitazione generale, che sfocerà  in una grande manifestazione tra ottobre e novembre. È l’autunno sempre caldo della Sardegna.


Related Articles

Lettera aperta a Marchionne

Loading

Gentile dottor Marchionne,
l’Italia è messa male, la Fiat peggio. Ci rivolgiamo a lei, perché le sorti del Paese si sono sempre intrecciate, nel bene e nel male, con quelle del suo principale gruppo manifatturiero. Oggi la Fiat conta meno di ieri, ma conta sempre tanto. Dopo il tracollo del 2002, ha fatto molto sotto la sua guida. Ma ora questo Paese si attende un cambio di passo. Necessario per il futuro dell’azienda, sarebbe d’esempio anche per l’azione di governo.

Zero numeri sulla 500L Né assunti a Pomigliano

Loading

Marchionne non cambia idea, ma sul futuro non dà  certezze Tutto bene in America con la Chrysler, tutto male in Europa e soprattutto in Italia. L’auto che poteva servire a salvare Mirafiori è finita in Serbia. Ma il «nemico interno» resta sempre la Fiom

Le politiche di austerità aumentano le diseguaglianze

Loading

La penalizzazione dei salari è un fattore costante che aggrava la situazione sociale.Una ricerca del Fmi rileva che le strette fiscali pesano molto di più sui ceti deboli e hanno ripercussioni nel lungo periodo, mentre si salvano i benestanti

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment