Dubbi sotto il velo del tempo
È possibile ritornare sui propri passi? A chiederselo è un anziano professore, protagonista di Le bianche braccia della signora Sorgedhal, ultimo romanzo dello svedese Lars Gustafsson, pubblicato dalle edizioni Iperborea, nella traduzione di Carmen Giorgetti Cima (pp. 240, euro 15,50).
Romanziere, filosofo della scienza, proprio come il docente del romanzo, Lars Gustafsson è vissuto per molti anni «altrove», avendo insegnato a Austin, all’Università del Texas. Nato nel 1936 a Và¤sterà¥s, nella Svezia del sud, Gustafsson è noto al lettore italiano per romanzi come La morte di un apicultore, Il pomeriggio di un piastrellista, Storia con cane o Preparativi di fuga – tutti editi da Iperborea -, ma anche per una raccolta di poesie, Sulla ricchezza dei mondi abitati (a cura di Maria Cristina Lombardi, Crocetti, 2010). Nella Ballata dei cani, facendo il verso a Kierkegaard, Gustafsson scrive: «Parliamo, e le parole sanno più di noi. Pensiamo, e ciò che pensiamo ci precede, come se ciò che pensiamo sapesse qualcosa che noi non sappiamo. Il messaggio attraversa la storia, un codice travestito da idee».
Abbiamo incontrato Gustafsson in occasione del Premio Boccaccio 2012, che gli viene conferito oggi a Certaldo Alto. «Tornare? – osserva lo scrittore svedese, a margine del nostro incontro – Naturalmente non è possibile tornare. Come già scriveva Kierkegaard, non è possibile un ritorno, almeno nella forma ingenua che attribuiamo al verbo “ritornare”».
Nei suoi lavori si percepisce chiaramente un doppio registro: all’incertezza delle cose risponde la chiarezza delle forme. I suoi romanzi, da Poeten Brumbergs sista dagar och dà¶d del 1959 a Le bianche bianche braccia della signora Sorgedhal, ma anche la sua riflessione saggistica hanno in questo una linea di continuità che pone al centro del proprio interessa la grande ricerca sul tempo
Quando ho iniziato a scrivere, non avevo alcuna intenzione di perseguire questa continuità . Mi sono semplicemente messo a fare delle cose – a scriverle, appunto – e oggi mi accorgo che esiste una sorta di conseguenza tra i miei lavori saggistici e i romanzi. Il tempo entra quindi doppiamente nel mio lavoro, sia se osserviamo questo lavoro come una sequenza di tappe intermedie ma non predefinite, sia se consideriamo il cuore di ogni singolo romanzo. Tutto esiste, il passato non è passato nell’esistenza. L’intervallo è diverso, ma il passato esiste, semplicemente non qui. C’è chi pensa che nel mondo microscopico non vi sia tempo. È un’incertezza che in grandi numeri e grandi contesti trova una direzione, la direzione del tempo, appunto. Il tempo è un’oscillazione e anche in Le bianche braccia della signora Sorgedhal quando il narratore cerca di trovare il tempo del proprio passato, si accorge che le sue narrazioni sono molto più ricche della sua vita.
Scrivere questo romanzo mi ha portato a confrontarmi con una serie di complicazioni interessanti. Sono io, il protagonista di questo romanzo? Se penso a una persona che ha nome «Lars Gustafsson», penso a qualcosa che esiste. Ma il narratore? Il narratore esiste? Il narratore è chiaramente una formalizzazione necessaria, di cui ci serviamo. Ho quindi scelto una serie di invenzioni che mi permettessero di sfuggire all’eccesso di realismo che ha invaso il campo del romanzo. Esistono, ovviamente, molti esempi di straordinarie «confessioni» nella narrativa mondiale, da sant’Agostino all’Inferno di Strindberg, ma questo è un altro discorso. In Inferno, Strindberg non descrive tanto una crisi personale, quanto la crisi di una visione del mondo che si condensa nel delirio. Ma prova, prova a cartografare un’altra descrizione del mondo…
Nell’Inferno di Stringberg, quindi, come lei ha scritto, la cosa più sconcertante che si possa riconoscere è che dietro il velo del delirio, tutto sembra rispondere al richiamo del vero. In questo senso, Inferno è di un realismo disarmante. Lei ha però anche accennato al «romanzo realistico», ma definire che cosa sia «realistico» e cosa, invece, produca «effetti di realtà » è tuttora un problema. La realtà – continuiamo a chiamarla così – in questo e in altri suoi romanzi è una superficie sulla quale, e sotto la quale, si intravvede il vero protagonista del suo lavoro: il tempo. «E se non fossi mai esistito?» – ecco cosa si chiede il professore di filosofia che comincia a viaggiare nel tempo del ricordo. Un ricordo che si sedimenta in una data e in un luogo: Và¤sterà¥s, 1954, quando cadde la più forte grandinata estiva che gli archivi della storia abbiano registrato. Il dubbio del professore è fortemente kierkegaardiano. È assurdo, sembra dire, che io non sia esistito. Eppure…
Molti sostengono, in modo serioso, che il romanzo è moribondo. Il romanzo occidentale, si sente talvolta dire, è giunto al suo fine corsa. Naturalmente, per uno scrittore non è facile accogliere una simile obiezione. Ma allora, forse, dovremmo porci una domanda diversa: che cosa significa «romanzo moderno»? Nel 1890, August Strindberg pubblicò un romanzo, In mare aperto. Racconta di un tecnico, uno studioso di scienze naturali, alquanto darwinista, che viene mandato su un’isola nel Baltico per risolvere alcune questioni relative al sistema di pesca. Questo studioso è un accademico, senza grande esperienza pratica, ma con un grande bagaglio di nozioni. Al contrario, la gente del luogo ha poche nozioni, ma molta esperienza. L’intendente si chiama Borg. E Borg è un nome che in Strindberg qualifica l’osservatore intelligente, il medico. Con questo romanzo, Strindberg aveva l’ambizione di offrire una descrizione scientifica del mondo, non una sociologia di basso profilo. Strindberg scrive il suo romanzo servendosi di uno stile alquanto originale, usando idee, concetti, mettendo in scena descrizioni che non sono propriamente «naturali», ma improntate alla biologia, alla fisica, ai saperi scientifici. Ammiro molto questa capacità di scrittura e pensiero di Strindberg e, quando iniziai la mia carriera di scrittore, oramai mezzo secolo fa, pensai che un romanzo moderno deve osservare i grandi progressi della fisica, della chimica, della biologia. Ovviamente si tratta di un ideale, forse di un’utopia, ma questo è il grado di «realismo» – ripeto, chiamiamolo così per intenderci – a cui ambisco. C’è sperimentazione e complessità anche nelle forme chiare, precise, nette.
Nei cinque volumi di Crepe nel muro, l’io narrante ha il suo nome e la sua data di nascita… Non è il vero «Lars Gustafsson», ma è un possibile «Lars Gustafsson»… In fondo, come la «lana» ci cui si parla nel romanzo, anche il nome possiede una doppia proprietà : cristallizza, protegge, ma al tempo stesso rischia di imprigionare e ridurre la complessità …
Scrivendo ho cercato il molteplice e il contatto con mondi fisici paralleli. Non so se esistano mondi paralleli, ma almeno nella letteratura questi mondi possibili riusciamo a sperimentarli. Nei cinque volumi di Crepe nel muro ho messo in azione cinque biografie possibili, di questo «Lars Gustafsson». In fondo, una biografia è un incidente di percorso e nulla vieta che nel ricordo questa biografia si scomponga, si alteri, cada su un particolare che cambi senso al tutto. Questa è la potenza e il mistero del ricordo. Ma, in fondo, siamo sempre lì, è la potenza e il mistero del nostro essere fatti di tempo. Anche nel mio ultimo romanzo il vero protagonista è il tempo. C’è un momento, nelle Bianche bianche braccia della signora Sorgedhal, che è forse il parallelo della madeleine in Marcel Proust, autore che certo non ignorava i dibattiti sul tempo tra Bergson e Einstein.
A un certo punto, la signora Sorgedhal posa una gatta sulle ginocchia. Questo è il centro del romanzo e del suo tempo. Noi pensiamo che il tempo è una cosa transitoria, che passa. Giulio Cesare non esiste, la mia colazione di domani non esiste. Solamente il qui e ora esiste, ma già per il nostro lettore ciò che noi definiamo qui e ora non esiste, e ciò che è qui e ora per il lettore del manifesto, non è più il qui e ora a cui ci riferiamo noi mentre parliamo. Hegel ha descritto il momento come «das Andere seiner selbst», l’altro di se stesso. Naturalmente non è possibile credere veramente al presentismo, che il tempo passato non esiste e il tempo futuro non esiste. Momenti passati hanno meno realtà del momento presente, ma esistono. La realtà sembra un servizio al tennis… Mentre parlo, le mie parole la raggiungono ma già per me il tempo del parlare è finito…
Questo è il tema di un suo romanzo del 1977, Tennisspelarna (nella traduzione italiana di Maria Cristina Lombardi: Il tennis, Strindberg e l’elefante, Guida 1991)…
In un servizio, lei può battere la pallina in una direzione o nell’altra, ma c’è un momento, essenziale, in cui il servizio diventa davvero un’apertura sull’ignoto, quando la pallina rimane sospesa nell’aria sopra la rete, tra un campo e l’altro. C’è un tempo oggettivo, «noi non siamo più reali di Giulio Cesare, ma forse Giulio Cesare è più reale di noi». Il mio tema è l’antipresentismo. I sociologi ci raccontano che siamo schiacciati sul presente.
Ma cosa è il presente? La letteratura apre scenari, laddove altri cercano di chiuderli. La letteratura non ha bisogno di persuadere, ma può sedurre. Può condurre là , dove la persuasione non arriva, perché ha un altro carattere. La persuasione è senza fine, la seduzione funziona o non funziona. Penso a T. S. Eliot, quando diceva che la poesia deve metterci in contatto, ancor prima di essere compresa. Forse questa è un’idea in qualche modo metafisica, ma è comunque una necessità di seduzione: stabilire un contatto, una corrispondenza, ben prima della sua interpretazione… La letteratura ha questa capacità di toccare l’intelligenza e il cuore, saltando gli ostacoli. Attraversando il tempo.
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PROFILO
Una voce internazionale
Considerato nel suo paese come il più «internazionale» fra gli scrittori svedesi di oggi, Lars Gustafsson è nato nel 1936 a Và¤sterà¥s, si è laureato nel 1960 all’Università di Uppsala e per dieci anni, dal ’62 al ’72, è stato redattore – e successivamente direttore – della rivista letteraria «BLM» («Bonniers Litterà¤ra Magasin»). Molto giovane ha cominciato a scrivere e a pubblicare, diventando ben presto un protagonista della vita culturale svedese. Per il suo ultimo libro, «Le bianche braccia della signora Sorgedahl», lo scrittore si è aggiudicato, assieme a Emanuele Trevi e a Piero Ostellino, il Premio Boccaccio 2012, che gli verrà consegnato questo pomeriggio nei locali di Palazzo Pretorio a Certaldo Alto.
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