Dietro la scelta di Nichi il timore di «regalare» i voti Fiom a Di Pietro

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ROMA — La politica degli equivoci: l’ultimo tormentone della sinistra si presenta come una «pochade». C’è l’attor giovane — che poi tanto ragazzino non è — ossia Nichi Vendola, che vorrebbe stipulare l’alleanza con Pier Luigi Bersani. Ci prova, ci riprova, alla fine ci riesce.

Sembra tutto a posto, ma ecco arrivare l’imprevisto. Antonio Di Pietro annuncia di voler presentare un referendum in difesa dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori contro la legge sul mercato del lavoro targata Elsa Fornero. Il presidente della giunta regionale pugliese, che nel frattempo ha stretto un patto — non di ferro — con il leader del Partito democratico, si nega. «È inutile fare un referendum, visto che il prossimo anno ci saranno le elezioni e quindi la consultazione referendaria non si potrà  tenere». Passano i giorni, e le vacanze. Trascorre agosto e si arriva a settembre. Il leader di Sel, apparentemente all’improvviso, cambia idea. Sottoscrive quell’iniziativa e si presenta con i compagni d’avventura di un tempo — Di Pietro, Diliberto e Ferrero — in Cassazione.
Che cosa ha fatto mutare opinione a Nichi Vendola? Se lo chiedono in molti nel Partito democratico. Interrogativo sbagliato. Quello giusto è: chi ha fatto cambiare idea a Nichi Vendola? La risposta è semplice: Maurizio Landini, il leader della Fiom. Il sindacalista ha detto chiaro e tondo al governatore della Puglia che lui avrebbe appoggiato quell’iniziativa e che sarebbe stato assai strano se Sel non avesse fatto altrettanto.
Vendola ha cominciato a farsi due conti, ha guardato con apprensione all’evoluzione dei rapporti tra Italia dei valori e la Fiom, dovuta al fatto che ad affiancare Di Pietro ormai c’è un ex rifondarolo come Maurizio Zipponi, responsabile Lavoro e Welfare dell’Idv, e ha capito che non poteva sottrarsi. Perciò ha deciso di appoggiare quell’iniziativa. Ma prima ha provveduto ad avvertire la dirigenza del Partito democratico che era orientato a compiere quello strappo.
Già , perché Vendola è un politico di lungo corso e non poteva non sapere che la sua sortita avrebbe prodotto dei contraccolpi sul Pd. Perciò voleva ridurre i danni. Che, però, puntualmente, si sono verificati. Bersani ha cercato di ridimensionare la portata dell’accaduto. Prima ha scelto la linea del silenzio. Poi l’altro ieri sera ha difeso l’operato del suo partito, che ha votato la legge Fornero in Parlamento, ma ha tenuto a precisare: «Noi non siamo antitetici al referendum». Insomma, un colpo al cerchio e uno alla botte. Che ha infastidito qualcuno nel Pd: «Dopo il “ma anche” di Walter Veltroni, ecco il “non antitetico” di Pier Luigi», ironizzava un gruppo di parlamentari ieri sera in Transatlantico.
Ma c’è anche chi non ha voglia di buttarla sul ridere. Antonello Giacomelli, per esempio, che dice: «Non mi importa quali siano le motivazioni che hanno spinto Vendola a presentare quel referendum in Cassazione: ma è chiaro che ormai lui ha rotto con noi. Bersani non lo potrà  dire, ma io lo dico, eccome». E Beppe Fioroni, responsabile Welfare del Partito democratico è sprezzante. «Vendola chi?». Al di là  delle battute, dei moti di stizza o di ira, nel Pd la questione Vendola tiene banco. Paolo Gentiloni, nel cortile della Camera dei deputati chiacchiera con qualche collega e, scuotendo la testa, osserva: «Ho sempre sostenuto che auto-rinchiuderci in un campo di sinistra, delegando a Casini la rappresentanza dell’area moderata era un errore. Ora, dopo le dichiarazioni del leader dell’Udc c’è da dire che forse è un miraggio».
Sì, perché il numero uno centrista ieri si è smarcato dal Pd proprio per la storia del referendum anti-Fornero. Bersani ora cerca di minimizzare: «Non confondiamo la tattica con la strategia. In questa fase ognuno cerca di marcare la propria identità : Sel, l’Udc…», spiega il segretario ai compagni di partito per tranquillizzarli. Bersani non ha intenzione di rompere con Sel, anche perché sa che quel referendum non dispiace alla Cgil e una frattura con Susanna Camusso sarebbe per lui assai difficile.
Intanto dalle parti di Sel c’è chi fa sapere che lo stato maggiore del partito incrocia le dita e spera che la Corte costituzionale bocci il referendum, risolvendo così tutti i problemi. Vendola, infatti, non vorrebbe essere costretto a dire addio al Pd e ad allearsi con gli ex compagni di Rifondazione Ferrero e Diliberto, oltre che con Di Pietro.
Nel Pd si attendono le prossime evoluzioni. Può sempre andare peggio. Non a caso Ugo Sposetti, incrociando un rottamatore ante litteram in Transatlantico, alza le braccia e dice: «Stai fermo, non c’è bisogno che cominci a sfasciare tu, che stiamo già  sfasciandoci da soli».


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