Diario «rubato» di Stevens: la Casa Bianca accusa la Cnn

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BENGASI — Era preoccupato l’ambasciatore Chris Stevens arrivando a Bengasi. C’erano continui allarmi per la sicurezza sua e dei colleghi. Eppure era anche felice di tornare nella città  che l’anno scorso l’aveva visto al cuore della rivoluzione libica. È ciò che emerge dal suo diario personale ritrovato tra i resti dei mobili carbonizzati del consolato. Un documento forse più umano che politico. Eppure per questo la Cnn è sotto accusa. Ha individuato il diario dell’ambasciatore ucciso e lo ha letto. Uno scoop in violazione di un patto con la famiglia che aveva chiesto di non divulgare il materiale. Una decisione quella della tv satellitare che ha provocato una tempesta. Il dipartimento di Stato ha parlato di condotta «ripugnante» e «inscusabile». I congiunti del funzionario, pur chiusi nel loro dolore, hanno fatto trapelare irritazione mista a rabbia.
La storia ha come scenario — secondo diverse ricostruzioni — il consolato di Bengasi, distrutto dalle fiamme. È qui che la Cnn entra in possesso di un taccuino dove l’ambasciatore ha riempito 20-30 pagine di annotazioni. La tv afferma di aver informato «nel giro di poche ore» la famiglia di Stevens e il dipartimento di Stato. I parenti del diplomatico chiedono di tenere segreto il contenuto e reclamano il quadernetto. Quindi si decide di affidare il diario a Guido De Sanctis, il console italiano e l’unico diplomatico occidentale rimasto a città . A lui poi il compito di rimandare il diario all’ambasciata americana di Tripoli. Primi ad evacuare sono stati gli americani dopo l’assalto. Ma è in America che l’intesa salta. Il giornalista Anderson Cooper svela in trasmissione che Stevens, negli ultimi tempi, avrebbe manifestato tre timori: il crescere delle minacce nei suoi confronti, la presenza di nuclei terroristici, l’inserimento del suo nome nella lista nera di Al Qaeda. Cooper cita, a sostegno delle rivelazioni, «fonti vicine a Stevens». Quelle «fonti» sono il diario? Indiscrezioni sembrano escluderlo ma non vi è certezza.
A Washington comunque non gradiscono e neppure la famiglia è contenta: è stata violata la privacy di una vittima, è stato usato materiale utile all’indagine. Arrivano così gli attacchi pubblici alla Cnn. Che si difende sostenendo di aver inviato ai familiari una trascrizione del documento e di aver poi verificato gli scritti interpellando altri protagonisti. La tv aggiunge che ha reso note le informazioni perché è diritto dei cittadini conoscere quello che è avvenuto. È strano — aggiungono — che il dipartimento se la prenda «con il messaggero».
Nella sua risposta l’emittente satellitare tocca un punto sensibile, quello della protezione assicurata a Stevens. Se il diplomatico era diventato un target — ci si chiede — è stato tutelato? E quante di quelle note allarmanti erano conosciute a Washington? La ricostruzione — peraltro piena ancora di «buchi» — dell’assalto ha evidenziato tre aspetti: l’ambasciatore aveva una scorta minima (5 uomini), il consolato non era certo un bunker, c’è stato un collasso nella rete di sicurezza. Le fonti giornalistiche americane ci raccontano che il diario era appena stato iniziato. Vi si trovano appunti sugli incontri quotidiani del diplomatico, osservazioni sulle trattative per la formazione del nuovo governo libico. Vi si legge il suo entusiasmo di sempre per il lavoro, i contatti umani. A Bengasi aveva una rete di conoscenze vasta e profonda. Vi descrive il verde del giardino attorno al consolato. Le ultime note sono scritte solo poche ore prima di morire. Compreso quell’ultimo accenno alla «sicurezza» e la necessità  di tenere un basso profilo. Un fastidio per lui che amava mischiarsi alla popolazione, scendere in strada, andare al mercato.


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