D’Alema scuote i democratici E nasce un asse antisinistra

by Sergio Segio | 7 Settembre 2012 5:08

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ROMA — Dopo una settimana scandita dalle polemiche a scena aperta, dentro il Pd scocca l’ora dei sospetti. E quella delle domande maliziose. Quasi tutte generate, almeno quelle di ieri, dall’intervista rilasciata da Massimo D’Alema al Corriere. La stessa in cui l’ex premier — che attacca frontalmente Renzi e conferma il suo sostegno a Bersani — torna a dare la sua preferenza al sistema elettorale che da anni sta in cima ai suoi desiderata: il modello tedesco. «Concordo con D’Alema che c’è un lavoro per favorire un Monti bis e comunque ostile al centrosinistra», premette Antonello Giacomelli. «Proprio per questo», aggiunge il fedelissimo di Dario Franceschini, «mi sembra incongruo che, nella stessa intervista, si manifesti disponibilità  per un modello elettorale che può creare le condizioni per un’ampia coalizione e un nuovo governo Monti».

Ma se tra i bersaniani c’è chi guarda con sospetto alle mosse dalemiane, al di fuori del blocco che sostiene il segretario c’è la corsa alle domande maliziose. «Bersani condivide il disprezzo di D’Alema per gli altri candidati?», chiede Arturo Parisi. «Se l’Inghilterra ha fatto a meno di Blair e la Germania di Kohl l’Italia potrebbe fare a meno di D’Alema, no?», è la domanda che il presidente dell’Anci Graziano Delrio rivolge dai microfoni di Radio24.
Da quando Bersani ha dato il disco verde alle primarie aperte e Renzi ha ufficializzato la sua discesa in campo, insomma, dentro il Pd s’è esasperato quel conflitto classico che sta all’anticamera di un congresso. E lo scontro potrebbe surriscaldarsi domani sera, quando i «giovani turchi» del tridente Fassina-Orfini-Orlando interverranno alla festa democratica di Reggio Emilia. Anticipati da dichiarazioni di chi, come Giacomelli, li accusa di voler «fare di Bersani il leader di una nuova gioiosa macchina da guerra».
Ma proprio per evitare quello che in molti hanno chiamato il «rischio del 1994» — una sconfitta dei progressisti che arriva nonostante i favori del pronostico — la settimana prossima, dentro il fronte che sostiene Bersani, potrebbe coagularsi un vero e proprio «correntone». Che farà  una guerra senza quartiere a Renzi. Ma che si pone come obiettivo quello di arginare i «giovani turchi».
Il «correntone» sta per nascere benedetto dal vicesegretario Enrico Letta, che ha evitato l’emorragia dei suoi verso Renzi. E anche da Dario Franceschini, che ha schierato sull’iniziativa alcune delle sue giovani leve. Iniziativa che vedrà  la luce con un documento (titolo: «Guardare avanti, cambiare l’Italia») in cui si ribadiscono il «sostegno convinto» a Bersani e due condizioni. No «all’approssimativo liberismo di sinistra» di Renzi. E no alla «nuova-vecchia socialdemocrazia neostatalista» dei Fassina e degli Orfini. Perché, si legge nelle linee guida che ispireranno il testo, «anche a sinistra c’è chi attacca la Bce, nonostante l’azione di Mario Draghi». Al contrario, «fare politica non è accusare gli gnomi di Zurigo o i tecnocrati di Bruxelles». E Monti? Il correntone riformista pro Bersani lo dirà  con nettezza: «L’azione del suo governo» ha evitato all’Italia «la caduta immediata in un baratro che avrebbe peggiorato drasticamente le condizioni materiali di vita per tutti, a cominciare dai più deboli».
Ma non ci saranno solo lettiani e franceschiniani nel «correntone». Anche alcuni segretari regionali del Pd che vengono dai Ds saranno della partita. «È uno snodo delicato. Al contrario di quello che sta succedendo in questi giorni, dove tutti pensano a regolare conti e conticini, il Pd deve tornare a parlare al Paese reale», ammette il leader del Pd lombardo Maurizio Martina. E aggiunge: «Adesso serve un’iniziativa forte a sostegno di Bersani». Il documento del «correntone» — a cui potrebbero aderire anche il segretario dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini e quello della Campania Enzo Amendola, oltre al tesoriere del partito Antonio Misiani — potrebbe diventarlo. E nella disputa tra montiani e sinistra, la scelta di Sel di sostenere il referendum dipietrista per ripristinare l’articolo 18 potrebbe avere un suo peso. Non indifferente.
Tommaso Labate

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