Dai soldi ai boss alle minacce di stragi tra Silvio e Marcello 40 anni di misteri

by Sergio Segio | 6 Settembre 2012 7:33

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PALERMO — Da 39 anni, sono inseparabili. Silvio Berlusconi ama raccontare che l’amico Marcello Dell’Utri ha sempre avuto una buona idea da proporgli, al momento giusto. La prima, del 1973, è rimasta memorabile: l’arrivo di un esperto fattore da Palermo per prendersi cura dei terreni e dei cavalli della nuova grande residenza di Berlusconi, la villa di Arcore. Ma quel fattore, Vittorio Mangano, era anche un mafioso di rango. E così, quell’amicizia nata sui banchi dell’università  di Milano, negli anni Sessanta, ha finito per incuriosire anche la magistratura.
Berlusconi non si è mai scomposto, non ha mai avuto un dubbio sull’amico siciliano. Anzi, l’ha sempre difeso a spada tratta. «Non riuscivo davvero a trovare un fattore fidato — spiegò il 26 giugno 1987, alla Procura di Milano — chiesi a Dell’Utri e lui si ricordò di una persona conosciuta sui campi di calcio della squadra Bacigalupo di Palermo». Altro che mafia, altro che misteri. Solo una storia di amicizia, secondo Berlusconi.
Ma è un’altra la storia che racconta la sentenza della Corte di Cassazione che nel marzo scorso ha condannato definitivamente Dell’Utri per le sue frequentazioni mafiose fra il 1973 e il 1978. Per i giudici della suprema corte non ci sono più dubbi sulle «cospicue somme» che negli anni Settanta Berlusconi pagò alla mafia, attraverso il «mediatore» Dell’Utri, «per la sua sicurezza e quella dei suoi familiari». Erano gli anni dei sequestri a Milano. È stata dunque la Cassazione, prima ancora della Procura di Palermo, a parlare di un’estorsione subita da Berlusconi.
Scrivono i giudici: «Dei versamenti di somme da parte di Berlusconi in favore di Cosa nostra, per la protezione, hanno parlato almeno quattro collaboratori: Francesco
Di Carlo, Antonino Galliano, Salvatore Cucuzza e Francesco Scrima». E il primo ha anche raccontato di un incontro in particolare organizzato nel 1974 da
Dell’Utri, fra all’allora giovane imprenditore Berlusconi e il capomafia palermitano Stefano Bontate. Anche questo è un capitolo già  certificato dalla Cassazione. E
se Dell’Utri non è ancora finito in carcere per concorso esterno in associazione mafiosa è solo perché i giudici della Cassazione hanno disposto un nuovo processo d’appello, per approfondire le sue frequentazioni mafiose fra il 1978 e il 1982.
Berlusconi, naturalmente, ha continuato a difendere a spada tratta il suo vecchio amico di università , intanto diventato compagno di tante altre imprese, da Publitalia a Forza Italia. Ma la storia dei due inseparabili amici continua ad essere oggetto di indagini giudiziarie a Palermo. Questa volta,
di scena, non ci sono più gli anni Ottanta, ma i recenti anni Novanta, quando Berlusconi ricoprì la carica di presidente del Consiglio. E Dell’Utri è adesso il principale indagato per il processo sulla trattativa mafia-Stato, perché nel 1994 avrebbe recapitato un altro messaggio dei boss a Berlusconi: Cosa nostra minacciava nuove stragi se non fosse arrivato un ulteriore alleggerimento del carcere duro. Questo ha detto il pentito Giovanni Brusca. E i pm di Palermo si chiedono adesso se quei milioni di euro offerti in dono da Berlusconi siano stati davvero solo per Dell’Utri.

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