Dai cortei alle proteste: è l’autunno della scuola

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ROMA Due settimane senza tregua per non lasciare nulla d’intentato. L’autunno caldo della scuola pubblica è già  cominciato. Gli insegnanti precari che in questi giorni sono stati in presidio sotto al Miur per protestare contro il concorso previsto dal ministro Profumo e i tagli passati, si sono riuniti ieri in assemblea e hanno stilato documento e calendario delle mobilitazioni. L’appuntamento centrale è per il 22, giorno in cui hanno indetto una grande manifestazione nazionale a Roma, alla quale hanno chiamato a partecipare con un appello le organizzazioni sindacali e politiche. «Chiediamo appoggio fattivo al corteo e alle sue rivendicazioni», spiega Massimo, del Coordinamento precari scuola di Roma. Questi i punti: «chiediamo di convergere non solo sul “no” al concorso ma anche sulla contrarietà  alla legge “ex –Aprea”, sul ritiro dei tagli, sull’assunzione dei precari».
Al corteo ci arriveranno dopo una serie di iniziative: domani saranno in presidio sotto Montecitorio con altre sigle del mondo scolastico e con il movimento degli studenti, per protestare «contro il ddl Aprea che prevede l’ingresso dei privati nei consigli d’istituto» (hanno già  aderito Sel, Fds, Idv e Prc, si attende la risposta del Pd). Il 13 pomeriggio, primo giorno di scuola nel Lazio, torneranno a viale Trastevere sotto la sede del ministero dell’Istruzione con gli studenti medi in protesta; per il 15 settembre hanno invece pensato a piazze tematiche in tutto il Paese, e poi altre iniziative intermedie per il lancio della manifestazione del 22: volantinaggi e assemblee nelle scuole, banchetti nei territori, «e azioni eclatanti e visibili».
Durante l’assemblea è stato forte l’invito da parte dei professori a coinvolgere tutti: genitori, studenti e lavoratori. «Perché si capisca che non è solo un danno ai precari, è l’ennesimo scippo che viene fatto alla funzione fondamentale della scuola pubblica», dice Romolo da Latina. Carlo, professore di filosofia, rivolge il suo appello soprattutto al Pd: «si schieri senza tentennare con noi, tra i suoi militanti ci sono tantissimi insegnanti». Arianna spiega che a Napoli stanno volantinando pure nelle università , «perché va bene l’emergenza concorso ma dobbiamo unirci con gli studenti su dei punti condivisi per la riqualificazione della scuola e della ricerca: le radici della lotta in comune sono i tagli della Gelmini, l’introduzione di un modello “marchionesco” ai lavoratori della conoscenza».
Per Marco, insegnante di sostegno di 46 anni, che la situazione sia drammatica «è evidente soprattutto dal trattamento riservato agli studenti disabili che hanno perso le ore e questo è un tema che deve riguardare tutta la società ». Marco ribadisce anche di credere «in questo tipo di mobilitazioni, ma a patto che siano unitarie, che si capisca che non siamo noi precari storici contro i neolaureati ma insieme, le cattedre ci sono per tutti».
IL NO AL CONCORSO
Poi c’è il fronte di chi ha già  deciso che non farà  il concorso: rinuncia alla professione come estremo atto di protesta. Tra di loro Manuel, insegnante veneto di 52 anni e quinto in graduatoria da 7 anni. «Non sono riuscito a entrare per i tagli, ma mi rifiuto di fare questa prova che è in realtà  una tagliola, serve solo a far fare agli insegnanti la parte degli incompetenti», dice. E continua: «non ho un problema a farmi valutare, io sono un valutatore dei miei alunni, ma perché umiliare 250mila precari in questo modo? Siamo invecchiati dentro la scuola, senza neanche la possibilità  di fare un mutuo, umanamente hanno ucciso una generazione di insegnanti che poi però in classe si mettono la maschera e fanno finta di essere tranquilli per insegnare ai ragazzi che esiste un mondo migliore, anche se loro hanno capito cosa sta succedendo in Italia e sono sempre più diffidenti verso la politica, lo Stato, sono sempre più cinici».
È d’accordo anche Maria, 39 anni, professoressa ad Aversa. Anche lei è una di quelle che rinunceranno al concorsetto. «Concorsetto perché rispetto alle qualifiche e agli studi dei professori italiani, la maggior parte plurititolati, è una retrocessione, una mortificazione». «Sono uscita dalla Siss spiega dove mi hanno insegnato che i programmi vanno tarati sulle esigenze della classe e del singolo alunno, per non lasciare nessuno indietro, per aiutare ogni studente a ragionare con la sua testa; adesso mi chiedono di dimenticare tutto e mi propongono un metodo di selezione e di insegnamento per nozioni e per crocette. Io rifiuto questo tipo di scuola, a costo di essere costretta a cercare un altro lavoro


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