Da Mirafiori a Cassino, fabbriche a rischio
A Mirafiori nel 2011 la produzione di auto si è fermata a quota 63 mila. Qualche anno prima erano più di 200 mila le macchine uscite dallo stabilimento simbolo della Fiat. Correva l’anno 2007, l’economia italiana cresceva, i consumi correvano e le Borse erano ai massimi. Ma si aprivano anche le prime, lontane crepe, distanti dall’Italia e dalla sua industria. Sui mercati finanziari arrivavano i primi scossoni per una serie di prodotti finanziari legati al settore immobiliare d’oltre Oceano, a dicembre gli Stati Uniti entravano in recessione, e in Gran Bretagna si vedevano, per la prima volta dopo tanti anni, le code di risparmiatori preoccupati davanti alla propria banca. Da allora, da quei germi di recessione, la crisi si è trasformata da finanziaria in industriale e l’epicentro si è spostato dall’America del Nord all’Europa del Sud.
Ed un esempio lampante è proprio la Fiat con i suoi stabilimenti italiani. Dal 2007 al 2011 la produzione di Melfi è scesa da 300 mila a 230 mila automobili, e quella di Cassino da 150 mila a 131 mila. Una fabbrica — Termini Imerese — ha addirittura fermato la produzione, mentre lo stabilimento di Pomigliano — ma qui entra in gioco la fase di avviamento della nuova Panda — l’anno scorso non ha sfornato più di 12 mila macchine.
Che sia colpa della crisi o delle scelte aziendali o di tutti e due, resta il fatto che la Fiat non vende più come una volta e perde posizioni in Europa. Con effetti a cascata sulle sue fabbriche. La cassa integrazione è ormai arrivata in tutti e quattro i grandi stabilimenti delle «quattroruote» italiane interamente controllati dal gruppo: Mirafiori, Melfi, Cassino e perfino Pomigliano. Proprio lì, alle porte di Napoli, dove solo pochi mesi fa è uscita la prima nuova Panda, che adesso non vende come sperato. Qui la cassa integrazione ha riguardato 2.150 dipendenti tra il 20 e il 31 agosto. E la produzione programmata di 700 automobili al giorno va oltre le richieste del mercato.
E’ stato invece posticipato — nello stabilimento della vicina Melfi, vicino a compiere 20 anni — il lancio di una nuova versione della Punto, nell’attesa di una ripresa del mercato che per ora sembra molto lontana. Nella fabbrica a due passi da Potenza, dove lavorano 5.300 dipendenti, la cassa integrazione ha già colpito a «macchia di leopardo», a seconda dell’andamento degli ordini. Cassa integrazione a macchia di leopardo anche a Cassino, la fabbrica di Lancia Delta, Fiat Bravo e Alfa Giulietta.
Gli effetti del calo delle vendite sono poi arrivati anche a Mirafiori e perfino agli uffici degli impiegati. Meno produzione, infatti, vuole dire pure meno fatture e meno acquisti; e così, dalla contabilità agli approvvigionamenti, la cassa integrazione è arrivata anche per i 5 mila impiegati degli uffici centrali di Mirafiori: tre giorni a settimana per ciascuna delle ultime due settimane di ottobre. Per non parlare dei 5.500 operai, con la cassa integrazione a rotazione.
L’unico stabilimento dove il lavoro viaggia a ritmi regolari è quello Sevel dei veicoli commerciali vicino a Chieti. E’ una joint venture con la francese Psa dove si produce il Ducato: un modello che, nonostante la crisi, va meglio delle sorelle automobili.
E adesso? Che cosa succederà nei prossimi mesi e anni? Il mercato italiano ed europeo si riprenderà ? Gli stabilimenti italiani torneranno a produrre a ritmo sostenuto sfornando nuovi modelli? Che cosa ha, di preciso, in mente il gruppo per l’Italia?
Quello che è certo è che, guardando il gruppo nel suo complesso — non solo Fiat Group Automobiles ma tutta Fiat Spa, e non solo l’Italia ma anche Stati Uniti, Brasile, Polonia, eccetera — i numeri cambiano. Un esempio? I dipendenti di Fiat Spa erano 197 mila a fine 2011 e sono saliti a 206 mila a metà 2012. Ma dentro c’è, appunto, tutto il mondo, dalla rinascita di Chrysler al boom del mercato brasiliano. Ed è tutta un’altra storia.
Giovanni Stringa
Related Articles
«Non riesco più a pagare gli stipendi», imprenditore suicida alla Cobem
A Umbertide (Perugia) si è impiccato nel capannone dell’azienda prima di firmare l’accordo con i sindacati per la rateizzazione. Sulla sua scrivania un biglietto con la spiegazione e l’accusa alle banche
Camusso: «Sciopero generale a fine maggio»
La Cgil ha proclamato 16 ore di sciopero, di cui 8 per una scadenza «generale». Sì, va bene, ma quando? Silenzio. Il che non aiuta davvero a capire quali siano gli obiettivi «veri» di una mobilitazione sui tempi lunghi.