Così le nuove leggi hanno bloccato i 9 miliardi stanziati
ROMA — Sulla carta 9 miliardi di euro, ai terremotati poco o nulla. A 4 mesi dal sisma le popolazioni gridano: «Siamo stati dimenticati». È davvero così? O, come dice il presidente dell’Emilia Romagna, Vasco Errani, «va velocizzata qualche procedure: bacchette magiche non ce ne sono»?
Il primo stanziamento è stato immediato, ma ridotto. Cinquanta milioni di euro, gestiti dalla Protezione civile, per il soccorso e l’assistenza alle popolazioni. Dovevano bastare per i primi due mesi. È l’effetto del dopo Bertolaso. La nuova legge, varata dopo lo scandalo della «Cricca», che fece emergere le criticità di una gestione in deroga, prevede allo scadere dei 60 giorni (in questo caso ricalcolati a partire dal 29 maggio, giorno della seconda scossa) il passaggio dalla fase dell’emergenza a quella del regime ordinario: nella quale a gestire i fondi sono direttamente le Regioni coinvolte, in proporzione ai danni subiti. A seconda dei provvedimenti, per l’Emilia oltre il 90%, la Lombardia per il 4-8%, il Veneto per l’1%.
Il meccanismo ha funzionato? «Problemi ce ne sono stati, malgrado l’impegno del presidente Errani — ammette il capo della Protezione civile Franco Gabrielli —. Ma ritardi e discrasie in questi tempi sono comprensibili».
Il realtà qualche lamentela c’è. Quei 50 milioni di euro sono finiti troppo presto. Addirittura venti giorni prima dello scadere dei 60 giorni. Le amministrazioni locali hanno dovuto provvedere in proprio per riaprire le scuole e mettere in sicurezza edifici pubblici pericolanti. Dovranno rifarsi sul primo stanziamento effettivo. Sono 2 miliardi e mezzo di euro sulla carta. Segnano la fase due, dal soccorso alla ricostruzione. È stata stanziata solo la prima tranche da 500 milioni di euro (finanziata dalle accise sulla benzina).
La promessa di stanziamenti ulteriori, 6 miliardi di euro, è arrivata il 29 maggio, giorno della seconda scossa, che ha raggiunto Vasco Errani sul treno per Palazzo Chigi. È legge da luglio. Prevede un meccanismo per la ricostruzione più snello di quello usato all’Aquila: i danneggiati ottengono il via libera dal Comune, si recano nelle banche convenzionate che, grazie all’anticipo della cassa depositi e prestiti, erogano l’80% della stima del danno, che andrà a credito d’imposta. Un meccanismo «totalmente trasparente», sottolinea Errani, ma che costa 900 milioni di euro in due anni (sottratti ai 2,5 miliardi iniziali che così diventano 1,4).
Annunciati dall’Unione Europea 670 milioni di euro (dovrebbero arrivare a gennaio, ma si teme che slittino a marzo). Attesi anche 100 milioni di euro per la ricerca industriale, 80 milioni di euro dell’Inail per la sicurezza sul lavoro e alcune centinaia di milioni di euro per l’agricoltura.
Errani anticipa: «Stiamo cercando un meccanismo per evitare che da novembre si torni a pagare le tasse. Come è accaduto per altri terremoti la sospensione deve durare di più». E sull’arrivo dei fondi assicura: «I soldi ci sono. Entro poche settimane dovremmo liquidare tutti i Cas, i contributi di autonoma sistemazione. E cerchiamo di accelerare il problema della liquidità per far ripartire la ricostruzione: perché se il problema principale dell’Italia è la crescita, è urgente far ripartire subito una zona che dà il 2,5% del Pil». «Basterebbe un euro» estremizza l’assessore regionale lombardo Carlo Maccari. E spiega: «Non vogliamo 500 milioni subito. Ma chiediamo al governo di attivare questo conto, versando anche lo 0,1%. Così partiamo. Altrimenti la Corte dei Conti non ci dà il via libera. Ma bisogna fare presto. Prima che venga a piovere».
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