Convention, il gran giorno di Obama

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CHARLOTTE — È il giorno dell’orgoglio democratico. «Non abbiamo paura di celebrare»: è lo striscione che accoglie stasera Barack Obama. «Forward», in avanti, è il motto con cui il presidente lancerà  la sua sfida a Mitt Romney concludendo la convention di Charlotte. «Forward» per respingere l’offensiva della destra che vuole inchiodarlo sulla difensiva, costringerlo a parlare solo del bilancio di questi quattro anni. «Forward»: significa che l’America è sulla strada giusta (nei sondaggi la maggioranza degli elettori non la pensa così) e bisogna andare avanti mentre la destra punta a ricacciarci nel passato, verso ricette fallimentari, le stesse che furono all’origine della tremenda crisi del 2008.
Bill Clinton ieri ha messo in prosa questo messaggio con la zampata del vecchio leone. «L’argomento dei repubblicani contro Obama suona così: gli abbiamo lasciato un disastro che lui non è riuscito a rimediare completamente, quindi cacciatelo e riprendeteci. La domanda più importante è questa: in che tipo di Paese volete vivere? I repubblicani vogliono una società  in cui ognuno è abbandonato a se stesso, e il vincitore acchiappa tutta la posta in gioco; se volete una società  di benessere condiviso e di responsabilità  distribuite, votate Obama-Biden».
Obama stasera definirà  la sua idea di un’altra America, dove il destino di ciascuno non è già  segnato dalla nascita, dai privilegi, dalle caste.
È il giorno dell’orgoglio ed è anche l’appuntamento più difficile per il presidenza della “speranza e cambiamento”, che quattro anni fa incantava le folle al ritmo di
Yes We Can.
Perfino la natura lo sottolinea, con la minaccia di nubifragi che costringono il partito democratico a ripiegare sul piano B. Troppo rischioso tenere l’evento conclusivo allo stadio aperto, bisogna restare dentro la Time Warner Arena, palazzetto dello sport con un terzo della capienza (20.000 posti contro 70.000). Peccato, la grande festa è in parte rovinata. Lo staff di Romney maligna: il meteo è un pretesto, i democratici temevano uno stadio semivuoto. Non è vero, solo dalla North Carolina sarebbero affluiti in massa al richiamo di Obama, abbastanza per fare il tutto esaurito. Un altro temporale che incombe all’orizzonte può giungere domani, se il dato sull’occupazione mensile sarà  un’altra delusione.
Nella guerra degli slogan, la destra inchioda questo presidente al quadriennio che si chiude. “Are You Better Off?” è la domanda che Romney ha preso in prestito da una campagna di 32 anni fa che fa sognare i repubblicani.
Ronald Reagan contro Jimmy Carter, 1980. Carter fu l’altro presidente democratico condannato a un mandato solo, perché Reagan diede il tono alla discussione nazionale con quella domanda sparata a bruciapelo in un duello tv. Non rivolta all’avversario ma alla nazione: «Fatevi i conti in tasca, poi confrontateli con le promesse del presidente quattro anni fa».
Contro il candidato repubblicano, la convention di Charlotte ha sfoderato l’arma dell’irrisione, un’ironia feroce. «Agli studenti che non riescono a pagarsi le tasse universitarie lui dice: fatevi prestare i soldi dai genitori. Eh già , buona idea, se solo i miei genitori fossero stati ricchi come lo erano i suoi», ha lanciato sferzante l’astro nascente degli ispanici, il giovanissimo sindaco di San Antonio Julià n Castro. «Romney patriottico? E perché i suoi conti bancari sono alle isole Caimane?» è uno degli striscioni più popolari. “Il candidato flipflop”, dal nome delle infradito: è l’espressione che si usa contro chi cambia opinione a ogni piè sospinto per opportunismo. Romney fu in favore dell’aborto e della sanità  pubblica, contro cui oggi dichiara guerra.
Il sindaco di Chicago Emanuel Rahm e il capo del sindacato metalmecannici Bob King, qui a Charlotte ricordano cosa vuol dire leadership: il salvataggio dell’industria automobilistica fu deciso da Obama nel 2009 contro il parere della maggioranza degli elettori e anche di molti suoi consiglieri. Il seguito gli ha dato ragione. «Ecco da che parte sto, ecco l’America che ho difeso. Per continuare a difenderla vi chiedo un nuovo mandato fino al 2016», dirà  stasera il presidente. «La riforma sanitaria la chiamano Obama-care come fosse un insulto, io sono fiero di questa definizione: ho protetto quelli che le compagnie assicurative non volevano ». Stasera più di Romney, tra la folla il suo rivale invisibile sarà  l’Obama del 2008, che aveva fatto sognare suscitando aspettative molto più alte, non solo di “limitare i danni” di questa crisi.


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